Strage di Cutro: un anno dopo

Bisogna purtroppo riconoscere che in quella terribile notte non era bastato a scongiurare la tragedia

StrettoWeb

E’ passato un anno dalla strage di Cutro. Con il trascorrere del tempo e con l’impegno della magistratura si fanno sempre più concrete le possibilità di valutare, con l’esattezza che l’immane tragedia pretende, cosa è veramente successo durante quella tremenda notte. Se è vero che le autorità, interpretando la linea del nuovo governo, hanno fatto scattare, nei confronti di quel caicco alla deriva, un’operazione di polizia e non di soccorso.

Ricordo che il sentimento popolare calabrese che spesso sbaglia ma altrettanto spesso coglie nel segno aveva d’istinto preso la parte dei migranti ed aveva manifestato alla sua maniera il proprio dissenso dalla linea del governo. Aveva lanciato in segno di protesta bambole e biberon al passaggio del lungo corteo di macchine guidato dalla presidente del Consiglio dei ministri. Bisogna purtroppo riconoscere però che in quella terribile notte non era bastato, a scongiurare la tragedia, lo slancio generoso di alcuni pescatori calabresi del posto, i primi a correre sulla battigia.

Il disappunto e le lacrime che nelle sequenze televisive del giorno dopo rigavano i loro volti la dicevano però lunga sulla loro sofferenza. Ma la dicevano lunga anche contro una maggioranza di italiani che vede gli immigrati come la peste. La Calabria che registra tanti fenomeni che sembrano condannarla al cospetto del mondo, a cominciare dai pregiudizi, attinge dalla sua stessa storia l’ispirazione di un controcanto: il desiderio di battersi contro la moda del tempo. Offre da secoli ospitalità a tutti gli sconosciuti che bussano disperati alla sua porta.

Un fenomeno poco noto, come poco note sono le tante tragedie del mare che spesso non trovano spazio sulla stampa perché avvengono al largo, lontano dagli occhi degli uomini.  Non esistendo quindi immagini che li ritraggano, quelle morti atroci non hanno valore. Nel mondo moderno dominato, appunto, dalle immagini, nulla esiste al di fuori di queste. Quel trafiletto, scritto per dovere di cronaca, e collocato nelle pagine interne, non fa notizia e soprattutto non procura emozione.

A convincere nel 2015 Angela Merkel ad aprire le porte della Germania ai migranti che vagavano senza speranza nei Balcani, fu il corpicino senza vita di Alan Kurdi con la faccia in giù sulla battigia di una spiaggia turca. Nel giro di poco più di dieci anni sono scomparse così circa 26 mila persone, in buona parte donne e bambini. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere un articolo – non ricordo l’autore – che mi ha dato un brivido. Sul pianeta siamo circa otto miliardi di abitanti. Noi italiani apparteniamo alla parte fortunata del mondo, definita Occidente.

Siamo ad occhio e croce 700 mila persone segnati da un’incredibile fortuna di cui quasi mai ci rendiamo conto. La più grande delle fortune infatti in questo nostro tempo è costituita dal luogo dove si nasce. La più grande ma anche la più casuale delle fortune. Non abbiamo alcune merito infatti nel nascere in Italia o in Francia e non in Afghanistan. E’ il frutto del caso. Solo che nascere in Occidente comporta, anche considerando le grandi disuguaglianze che si registrano all’interno di questa parte del mondo, una condizione di particolare favore.

Abbiamo da mangiare, da bere, letti comodi, acqua in quantità. Se fuori fa freddo le nostre case sono invase dal caldo. Se invece fuori fa caldo, in casa disponiamo del freddo. Abbiamo la libertà, l’assistenza. Una delizia. Mi fermo qui ma come tutti sanno, potrei continuare ancora per un po’ a descrivere i grandi tesori che l’Occidente ci regala. Sulla restante parte del pianeta dove abitano circa 7 miliardi e 300 milioni di persone questi privilegi non esistono. La grande parte di questa umanità dolente vive con poco più di un dollaro al giorno.

I demografi affermano che nei prossimi venti anni l’Africa avrà una popolazione cinque volte più numerosa dell’attuale. Si prevede che le persone che ogni anno muoveranno in direzione delle nostre coste saranno ogni anno milioni. Dove li collochiamo? In Albania? Occorrerebbero politiche di qualità culturale, di cui non tutti i governanti europei dispongono. Ci sarebbe bisogno per prima cosa di riportare alla luce dal fondo della nostra memoria l’immagine del profugo Enea.

L’eroe sconfitto che si lascia alle spalle Troia in fiamme, per cercare pace e nuovi affetti a cui legarsi. Si tratta del primo viaggio conosciuto, dei tanti che nel corso dei millenni dall’Oriente hanno fatto rotta verso l’Occidente. Nessuno è mai riuscito a bloccarli.

Condividi