Parlare di sanità nel Mezzogiorno è come mettere il dito nella piaga e spargerci del sale sopra. O, per rimanere in tema, è come sparare sulla Croce Rossa. Ma anche nello stesso Sud Italia, quella parte di Paese che si affanna a tenere il passo con le restanti regioni, è possibile denotare una situazione frammentaria e, purtroppo, lo dico per esperienza diretta.
La “sfiga” di essere nati in Calabria
Perché quando hai un genitore a cui viene diagnosticato un carcinoma allora la cosa sì che diventa una questione personale. Ma non perdiamoci nei meandri delle mie vicissitudini familiari, bensì consideriamo il mio caso come un “campione”: in Calabria non è stato possibile eseguire l’intervento necessario in tempi brevi – tranne se a pagamento – ma in Puglia siamo stati più fortunati.
E non parlo di una singola città, ma di diversi centri che vanno da Acquaviva delle Fonti fino a Foggia. In Calabria, invece, era necessario arrivare fino a Catanzaro (mi trovo al confine con la Basilicata) e pagare per poter vivere. Fortunatamente, la questione si è risolta ma è evidente il calvario – e il divario – a cui un paziente deve sottoporsi se è nato, per caso fortuito, in Calabria.
La sanità sottosopra
Ma questo non è un pezzo per buttare giù il Sistema Sanitario Regionale, che vanta anche il prezioso contributo di medici oltreoceano, i “famosi cubani” che, come nel caso di Trebisacce, hanno letteralmente salvato la vita ad un altro medico autoctono.
E non me la prendo neanche con le Organizzazioni Sindacali le quali, giusto ieri, hanno incontrato il Presidente Occhiuto per parlare appunto della questione sanitaria calabrese. E, scusate se mi dilungo, non ce l’ho neanche con il personale medico che, sottopagato e mal retribuito, viene pure aggredito sul posto di lavoro.
La cosa che mi fa più rabbia, in questo mare di disperazione in cui una figlia non può neanche salutare la madre che sta morendo da sola in un lettino d’ospedale, tra un medico che si fa pagare privatamente mentre è assunto all’Asp e un direttore generale che inserisce il saldo del suo “macchinone” nelle spese dei contribuenti, sono le ovazioni per l’arrivo del nuovo ecografo. O del mammografo. O della macchinetta della pressione (scusate, ha un nome troppo lungo che non so riportare).
Il calabrese si accontenta delle briciole?
Che sia chiaro, faccio ammenda: mi ritrovo spesso a riportare l’arrivo di questo e quel macchinario il quale, lo so bene, può aiutare significativamente il livello di assistenza per il paziente calabrese – anche se, nel mio caso familiare, non si è riusciti a trovare una TAC aperta in tutto l’Alto Jonio Cosentino, ma vabbè. Ma sentiamo davvero di festeggiare queste piccole vittorie? Che poi, a pensarci, sono davvero delle vittorie?
Forse sarò ripetitiva, e forse anche masochista, ma davvero applaudiamo perché all’ospedale cittadino è arrivata una nuova ambulanza? O perché ci hanno fatto il favore di CAMBIARE LE SEDUTE? Ma siamo davvero così sottomessi, noi calabresi? E, lungi da me dal prendermela con chi c’è ora sullo scranno del potere perché, davvero, è ininfluente.
E’ una situazione a cui siamo perennemente condannati, solo perché abbiamo avuto l’ardire di nascere dal lato sbagliato dell’Italia giusta. Preferirei aver avuto una Tac aperta in silenzio, che avrebbe forse evitato un grande travaglio alla mia famiglia, che la marchetta sul “macchinario avanzatissimo” lasciato lì, a giacere. Ah, e comunque la parola era sfigmomanometro!