Immaginate un calciatore che nel derby Roma-Lazio inizia a giocare da una parte e poi cambia squadra durante il match. Toglie la maglia giallorossa e mette quella biancoceleste. E poi rimette quella giallorossa e poi di nuovo quella biancoceleste. E ad ogni azione entra in tackle contro quelli che un secondo prima erano i suoi compagni di squadra, e prova a fare gol nella porta che dopo pochi istanti tenterà di difendere. E’ uno scenario inverosimile? Sicuramente per Francesco Totti e Paolo Di Canio, ma se Carlo Calenda fosse un calciatore anziché un politico probabilmente si comporterebbe proprio così.
E se fosse un Ultrà delle curve più scalmanate, domenica scorsa dopo il derby calabrese Cosenza-Catanzaro avrebbe iniziato l’agguato dei cosentini bloccando i pullman degli ospiti per poi mettersi una sciarpa giallorossa e iniziare a bastonare i cosentini di cui lui stesso faceva parte fino a pochi istanti prima, e sbadabem e sbadabam e sbadabem e sbadabam, sarebbe stato protagonista di una sorta di rissa tutti contro tutti finchè non fosse rimasto da solo ad impersonare una parte e anche l’altra in una sorta di monologo teatrale in cui il protagonista impersona due figure litigiose contemporaneamente e se la prende con sé stesso. “Ti ammazzo“, “No ti ammazzo io“, “E fatti sotto“, “E fatti sotto pure tu“, tutto inscenato da lui stesso contro sé stesso.
Ma i paragoni calcistici sono riduttivi: Carlo Calenda in un talent show vorrebbe essere sia giudice che concorrente; in automobile vorrebbe essere sia poliziotto che pirata della strada; in azienda vorrebbe essere il capo e il dipendente; al ristorante il cuoco, il cameriere e anche il cliente. E’ un bambino che non sa ancora cosa vuole fare da grande: oggi organizza le manifestazioni contro Putin ma quando era ministro dei governi Pd di Renzi e Gentiloni andava in Russia a stringere la mano a Putin per accordi commerciali, e parliamo del biennio 2016-2018, non del secolo scorso, Putin aveva già invaso e occupato la Crimea e l’Europa gli aveva comminato pesanti sanzioni.
Carlo Calenda ha meno credibilità di un granchio sul Monte Rosa, e l’apice del suo totale vuoto valoriale lo ha raggiunto in Calabria dove sta provando a costruire il suo partito nei salotti delle élite senza mai essersi candidato ad alcuna elezione. Azione non è mai esistita tra le liste delle elezioni regionali e comunali, eppure ci sono importanti consiglieri regionali e persino il vice Sindaco della città metropolitana di Reggio Calabria che hanno aderito ad Azione pur essendo stati eletti altrove. E torniamo a Roma-Lazio o agli ultrà di Cosenza e Catanzaro, o a tutto il resto: evidentemente Calenda sceglie bene i suoi collaboratori, purchè siano come lui, cioè politicamente bipolari e totalmente disinteressati a considerare il mandato democratico deciso dal popolo.
Ieri Calenda dopo la batosta delle elezioni Regionali in Abruzzo, dove ha perso alleato con la sinistra, ha subito aperto alla destra: come un bambino che tifa Juve finché vince lo scudetto ma poi tifa Inter quando a vincere sono i rivali. L’importante è stare con chi vince, non avere una fede nel cuore. Calenda è esattamente così: due ore dopo aver fatto la campagna elettorale per la sinistra, ha detto testualmente: “Trovo normale confrontarsi con Forza Italia e appoggiare il candidato che reputiamo più preparato, come è stato il caso di D’Amico in Abruzzo, ma ad esempio in Calabria appoggiamo Roberto Occhiuto di Forza Italia”. Neanche dieci minuti dopo, il suo vice segretario di Azione Ettore Rosato – anche lui noto per le idee confuse, prima braccio destro di Renzi ora amico per la pelle di Calenda – ha aggiunto: “In Calabria governiamo con il centrodestra con Roberto Occhiuto che è un ottimo Presidente della Regione”.
Ma come fa Azione a governare in Calabria con Occhiuto, se alle elezioni regionali dell’autunno 2021 non si era neanche candidata come lista? In realtà Azione in Calabria non governa nulla: non ha alcun incarico in Giunta né determina gli assetti della maggioranza di destra guidata da Forza Italia, con Fratelli d’Italia e Lega. E’ successo semplicemente che poco più di un mese fa, due consiglieri comunali centristi (quindi democristiani, quindi trasformisti, quindi Calenda), e cioè il cosentino Giuseppe Graziano eletto nell’Udc e il vibonese Francesco De Nisi eletto in Coraggio Italia, hanno aderito ad Azione tramite l’intervento di Mara Carfagna, ex Forza Italia oggi proprio nel partito di Calenda.
L’idea di Carfagna e Calenda era quella di creare un gruppo consiliare in Calabria, ma servivano tre consiglieri e non sono riusciti a trovarne un terzo. Graziano e De Nisi hanno lasciato – rispettivamente – l’Udc e Coraggio Italia per sposare il progetto di Calenda, e ovviamente continuano a rimanere nella maggioranza che appoggia il governo di Occhiuto, pur essendo totalmente ininfluenti (la destra ha 20 consiglieri su 30 a Palazzo Campanella, anche se i due nuovi arrivati di Azione votassero contro, al governo Regionale non cambierebbe proprio nulla).
Azione ha celebrato l’ingresso dei due consiglieri regionali spiegando che il partito in Calabria punta alla “costruzione di una casa comune aperta a chiunque si riconosca nei valori del riformismo, della democrazia liberale e dell’europeismo“. Niente male per un partito che dice di credere nei valori della democrazia liberale, accasarsi nei palazzi del potere strappando i propri rappresentanti agli altri partiti senza neanche mai presentarsi al giudizio degli elettori!
Ma a prescindere da questo (sicuramente Azione si presenterà alle prossime Regionali e Comunali in Calabria e se avrà consiglieri, e quanti ne avrà, lo deciderà davvero il popolo), a creare grande imbarazzo in questa situazione è il fatto che oggi Azione in Calabria sia nella maggioranza di destra che governa la Regione ma anche nella maggioranza di sinistra che governa la principale città calabrese, Reggio Calabria, dove ha persino il vice Sindaco Metropolitano, che è stato per due anni addirittura Sindaco facente funzioni per l’Amministrazione Falcomatà guidata dal Pd. Stiamo parlando della stessa città (a Reggio c’è la sede del Consiglio Regionale dove Azione vota con la destra, a poche centinaia di metri di distanza dalla sede del Consiglio Metropolitano dove Azione ha il vice Sindaco e vota con la sinistra!) e dello stesso momento storico.
La politica ha sempre visto il trasformismo di chi nell’arco di pochi anni cambiava partito e coalizione, o persino anche rari casi in cui qualche partito centrista si alleava localmente con forze diverse in territori diversi. Ma essere contemporaneamente con la destra e con la sinistra nella stessa regione e nella stessa città non era mai successo a nessuno: Calenda ha raggiunto questo record che fa impallidire tutti i suoi transformers predecessori. Adesso non possono che incoronarlo Re degli opportunisti e doppiogiochisti della politica italiana. Tutti, in fila, sudditi del sovrano: da Casini a Mastella e Tabacci. Calenda li ha superati.
Il problema di fondo è che Calenda continua, imperterrito, da anni, a combattere la naturale tendenza democratica al bipolarismo del sistema politico. E lo fa diventando bipolare lui: se non fallisce il bipolarismo, sono io a saltare di qua e di là. “Credo che alla fine l’Italia debba essere governata da una larga coalizione anziché da un sistema bipolare che non funziona” ha detto sempre ieri dopo la sconfitta in Abruzzo, proprio nel momento in cui in Italia si sta riaffermando il bipolarismo in un contesto politico in cui sia la destra che la sinistra stanno ricostruendo la propria identità e il proprio consenso su posizioni sempre più lontane dal centro, spinte dalle richieste dei cittadini-elettori. Povero Calenda: è fuori dal tempo e dallo spazio, fa una lotta di retroguardia e prova a cambiare la società: probabilmente il suo posto era nella Prima Repubblica, ma papà Fabio e mamma Cristina l’avrebbero dovuto mettere al mondo almeno venti anni prima. E in ogni caso ci fa divertire tantissimo.