Ieri allo stadio “San Vito-Marulla” erano in circa 18 mila. Ma non c’erano 18 mila delinquenti. Gli abitanti di Cosenza sono quasi 70 mila, quelli di Catanzaro 90. No, non sono 160 mila delinquenti. E in Calabria, dove siamo circa 2 milioni, non siamo tutti e 2 milioni delinquenti. Questo vizietto di generalizzare, in ogni ambito e per ogni situazione, ha anche un po’ stancato. E ha anche un po’ stancato che a pagare – anche solo in termini morali – debba essere una tifoseria intera; debba essere la famiglia con bambini al seguito presente ieri allo stadio o il padre e figlio che hanno deciso di trascorrere un pomeriggio diverso nella trasferta più vicina della stagione.
Non importa se a scatenare la guerriglia siano stati 20, 50 o 100. Sicuramente non erano tutti, sicuramente non erano la maggioranza, sicuramente non erano neanche una piccola minoranza, ma soltanto un minuscolo gruppuscolo di balordi. E la Calabria non ha nulla di cui vergognarsi. Oppure siamo subito pronti a gettare fango su un popolo intero, su una tifoseria (o due) intera? Mai generalizzare. Mai! I colpevoli di quanto accaduto ieri, al termine di Cosenza-Catanzaro, sono quelli che abbiamo visto tutti nel video. E quelli non sono tifosi. Quelli, con il calcio, non hanno nulla a che fare. E questo accade sia in Calabria che in Toscana, che in Friuli, che in Molise, che in Trentino. Oppure abbiamo già dimenticato cosa hanno combinato i tifosi bresciani a inizio giugno proprio contro il Cosenza?
Perché ancora a determinati soggetti è concesso “pascolare” per gli stadi?
Anziché la solita morale vittimistica, accusatrice o frustrante verso un popolo o una Regione intera, ci si chieda perché, ancora, nel 2024, accadono gli stessi fatti che si succedevano negli anni ’80. Perché ancora a determinati soggetti sia reso possibile “pascolare” liberamente per gli stadi. A loro, e solo a loro, lo stadio dovrebbe essere vietato. A vita. E forse non solo lo stadio.
Ma sappiamo bene che non sarà così. Che di questi fatti, ahinoi, ne dovremo raccontare ancora. E ancora e ancora. Perché è sempre stato così. Perché è sempre dovuto scappare il morto per un provvedimento serio. Perché è sempre stato più facile accusare, infangare una popolazione intera. Generalizzare.
Nell’Italia al contrario, siamo sicuri che questa vicenda passerà meno in sordina, molto meno, quantomeno da un punto di vista mediatico. Perché fanno più scalpore quattro manganellate che hanno attirato l’attenzione pubblica per giorni. Dei poliziotti feriti ieri, che hanno rischiato la vita per bloccare l’ira di malviventi senza scrupoli, a nessuno interesserà più di tanto. Sono gli stessi poliziotti che ieri hanno tentato di garantire l’ordine pubblico, ma che da giorni sono accusati di essere contro il popolo. Sono gli stessi che magari, prima di rispondere agli attacchi della guerriglia, ci hanno pensato su due volte, per paura di essere giudicati da chi in realtà – certa politica in primis – dovrebbe tutelarli ed appoggiarli. Ma è più semplice parlare di slogan come “chiudiamo gli stadi”; o di “zingari calabresi”. E tenetevi ancora questa società, che ormai ha preso una bella piega…