I dossieraggi e quegli inquietanti collegamenti con la Procura di Reggio Calabria

Dopo il caso dossieraggi la vicenda che ha visto Claudio Scajola processato a Reggio Calabria è tornata alla ribalta della cronaca

StrettoWeb

Secondo gli inquirenti aveva favorito la latitanza dell’ex parlamentare Amedeo Matacena e per questo motivo venne condannato in primo grado per procurata inosservanza della pena. Ma la vicenda non è ancora conclusa. L’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola era rimasto coinvolto nel processo “Breakfast”, celebrato dal Tribunale di Reggio Calabria. Scajola era stato arrestato nel 2014 dalla Dia al termine di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Un processo che, come ha detto di recente lo stesso Scajola, è “nato sul nulla” e “finisce nel nulla, ma che sicuramente ha lasciato profonde ferite.

Ora, dopo il caso dossieraggi, la vicenda è tornata alla ribalta della cronaca. Cosa accadeva in quegli anni alla Procura di Reggio?Il momento più difficile della mia vita? Quel giorno di maggio del 2014 quando arrivarono dei poliziotti e mi arrestarono. Mi misero in una piccola cella, solo, senza poter vedere i miei familiari e nemmeno gli avvocati. Isolamento per sei giorni. Terribile. Poi altri 30 giorni a Regina Coeli prima di ottenere i domiciliari. Sono stato trattato come uno dei peggiori criminali. Dicevano che avevo organizzato una associazione segreta, una cosa assurda. Il processo è ancora in corso. Sono stato l’altro giorno a Reggio ad assistere a un’udienza. Accuse crollate. Si limitano a sostenere, senza neanche una pezza d’appoggio, che avrei aiutato l’imprenditore e parlamentare Amedeo Matacena a non essere arrestato“. Lo ha raccontato lo stesso Scajola in un’intervista al Giornale.

Cafiero De Raho e Striano: i dossieraggi e quel collegamento con Reggio Calabria

Scajola, berlusconiano di lungo corso, è stato più volte ministro e coordinatore nazionale di Forza Italia. Oggi ha 76 anni ed è sindaco di Imperia. Sul caso dei dossier, dice, come sia “evidente che il problema non è il caso isolato di una persona che ha avuto comportamenti sicuramente illeciti e di gravità assoluta. E chiaro che c’era la possibilità di fare le cose che ha fatto il luogotenente Striano e quelle cose le facevano in tanti, credo, e in diversi modi. Ma poi c’era chi permetteva che venissero fatte, se non addirittura le auto-rizzava“.

Il Procuratore della Repubblica di Reggio che ha proceduto contro di me era Cafiero De Raho, persona di cui si parla molto in questi giorni a proposito dell’inchiesta sui dossier – spiega –. E so che nell’inchiesta che mi riguarda il finanziere Striano è stato un protagonista, tanto è vero che è stato audito quattro volte durante il processo”. Un processo, quello subito da Scajola, che negli ultimi anni si è rivelato essere un copione visto e rivisto, quasi un metodo (basti pensare ai casi di sindaci e altre figure politiche messe sotto processo come fossero i peggiori dei criminali, per poi scoprire con la sentenza, dopo anni di gogna mediatica, che erano dei perfetti innocenti).

Il processo, spiega Scajola, è partito “con una conferenza stampa che sosteneva la tesi, esposta da Cafiero De Raho, che esistesse una cupola che collegava ‘ndrangheta, politica e massoneria. Poi, nel corso del processo, in questi quattro anni, questa tesi è crollata miseramente“.

La morte del colonnello Pace

Ma c’è di più. Non solo Striano ebbe un ruolo in quell’inchiesta della procura di Reggio Calabria, ma “ci fu il mistero della morte del colonnello Pace, che si suicidò“, ricorda l’esponente di Forza Italia. “Il colonnello si suicidò pochi giorni prima della deposizione al mio processo. E solo due giorni prima di suicidarsi era stato ad acquistare il vestito per la comunione del figlio. Ora io non voglio fare supposizioni, però lei ammetterà che è una faccenda un po’ strana“.

Errore giudiziario o altro?

Quando si colpisce un avversario politico c’è qualcuno che ne gode. Così nasce un meccanismo perverso dove la giustizia non c’è più. Il primo caso fu il caso Piccioni. Anni 50. Il numero due della Dc, erede di De Gasperi, messo fuorigioco con accuse false al figlio. Poi alla fine degli anni 60 il caso Ippolito. Uno scienziato e un nuclearista. Anche lui perseguitato, annientato e poi assolto.

Non potrò mai scordare il consiglio da amico che mi diede Napolitano. Mi disse: Attento Scajola quando ti occupi di energia. Se sbagli, se pesti i piedi, ti annientano. Il mio amico Ippolito, personaggio fantastico, fu abbattuto da una congiura. E poi naturalmente posso parlarne finché vuole dell’accanimento giudiziario contro Berlusconi“, spiega Scajola.

La stampa di parte

Qualche mese fa, Luca Palamara, nel corso della presentazione del libro di Peppe Scopelliti a Roccella Ionica disse: “Il sistema si verifica quando tutto ciò che non è sinistra va al governo“, parlando della regola del tre, ovvero “le tre armi del sistema: una procura, un giornale amico, un partito che fa da spalla politica“. Una regola, precisa Palamara, che è ampiamente presente e riscontrabile nel caso di Peppe Scopelliti. Ebbene, anche dalla descrizione che Scajola fa dell’accaduto, si evince che lo schema è esattamente quello.

I giornalisti “diventano uno strumento del potere intoccabile di alcuni magistrati. C’è una categoria speciale di giornalisti: quelli che frequentano le procure e si fanno sottomettere. Diventano loro gli esecutori della pena. Non conta più in un processo la sentenza o la Cassazione, ma conta il processo di popolo che si fa con gli avvisi di garanzia, gli arresti e i giornali. Si è completamente ribaltato il concetto di giustizia“.

“Buonasera onorevole, dove va?”

Non ho rancori – svela Claudio Scajola -. L’altra sera ero in aereo per andare a Reggio Calabria al mio processo. A un certo punto sento una persona che mi chiama: “Buonasera onorevole, dove va?”. Era il Pm Lombardo“. Al magistrato, il politico ha detto “sto andando a Reggio Calabria per quel processo inesistente che lei ha messo su insieme al Procuratore Cafiero De Raho. E gli ho chiesto: Ma i due pentiti che avete tirato fuori durante il processo, e che poi lei stesso ha eliminato perché erano inattendibili, che fine hanno fatto? Mi dica, a che punto è l’inchiesta per capire perché questi mi accusavano?“. “Io non glielo posso dire. Faccia richiesta formale”, gli ha risposto Lombardo.

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