Il fastidio di pensare – Intellettuali a cottimo

Il Novecento ci ha consegnato ancor più rafforzata una vecchia eredità romantica secondo cui dietro un artista si trova un grande intellettuale

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Il Novecento ci ha consegnato ancor più rafforzata una vecchia eredità romantica secondo cui dietro un artista si trova un grande intellettuale. Si tratta solo di una convenzione ma molto ben radicata nel sentire comune. Per smentirla basterebbe solo leggere le interviste che gli artisti, anche quelli considerati più grandi, rilasciano: spesso si tratta solo di un susseguirsi di banalità, non oltre quelle dell’uomo comune. L’artista è spesso solo un individuo che possiede un particolare talento nello scrivere o nel rappresentare, ma l’analisi della realtà e la profondità di pensiero è altra cosa, e non è detto che la sua debba sovrastare quella degli altri. Come tutte le persone chiamate a esprimersi su cose che non riguardano il suo campo è, semplicemente, un uomo con le sue opinioni. Ma il rango guadagnato nel suo settore amplifica le sue affermazioni e gli conferisce risalto. Può naturalmente capitare anche chi coniuga all’arte una profondità culturale, ma le due cose non si identificano di per sé stesse, e sono posizioni molto più rare di quanto certa pubblicità faccia credere.

Il secolo appena concluso ha speculato su questa immagine dell’artista impegnato

Il secolo appena concluso ha parecchio speculato su questa immagine dell’artista impegnato. Ma spesso si tratta di posizioni di comodo che hanno permesso a molti di galleggiare o di farsi una posizione o anche solo di nobilitarsi abbracciando opinioni confuse. Potremmo citare diversi pittori e poeti delle nostre parti che hanno avuto diversi ripensamenti ideologici a seconda delle stagioni che il paese stava vivendo in concomitanza con il partito che gli poteva meglio aprire certe porte dei palazzi romani. E citarne molti che nella loro arte ci hanno visto solo ciò che in quel momento andava di moda o gli faceva vendere meglio, compresi sé stessi, interpretato secondo categorie ideologiche molto annacquate. Ciò non vuole dire che siano necessariamente dei mentitori, ma che bisogna separare l’uomo da quello che produce. E spesso loro stessi sono i peggiori interpreti della loro opera. Senza con ciò cadere nell’altra sciocchezza che l’artista è l’interprete di una forza trascendentale. E senza legare i destini dell’uomo a quelli dell’opera: basta leggere le interviste di Céline per trovarsi di fronte un logorroico disadattato, ma questo non vuole dire che il suo Il viaggio al termine della notte resta un capolavoro. È solo, come tanti, un inconsapevole talentuoso. Un po’ come Maradona che era un sublime calciatore ma a cui poi spesso i giornalisti andavano a chiedere opinioni sulla politica argentina o sull’elezione del nuovo papa. Un po’ troppo.

Il mito dell’artista per ciò stesso intellettuale è molto duro a morire

Ciononostante questo mito dell’artista per ciò stesso intellettuale è molto duro a morire, e quelli che maggiormente ne hanno beneficiato sono proprio gli artisti, che si sono visti di volta in volta vezzeggiare da governi, partiti e dittatorucoli vari che ne hanno sfruttato la popolarità per sponsorizzare, o magari giustificare, agli occhi delle masse osannanti le loro linee politiche. Da Borges a García Márquez non sono rare figure di rilievo del mondo artistico viste a braccetto con politici oscuri. Agli occhi della massa, infatti, è importante innanzitutto essere famosi, e se poi a questo si riesce ad associare un impegno sociale vero o presunto si riescono a nobilitare tante cose. È la fallacia del tennista che viene assoldato per fare la pubblicità al dentifricio, con la differenza che la politica è qualcosa di un po’ più serio del lavarsi i denti.

L’incapacità di distinguere l’artista dall’individuo provoca ogni volta molte discussioni sterili

Naturalmente questa incapacità di distinguere l’artista dall’individuo provoca ogni volta molte discussioni sterili e sciocche, spesso con la complicità della stampa che dà eccessivo risalto a episodi futili. Si era già visto con il fumettista Zerocalcare che voleva dare una nobiltà ideologica alla sua attività e ogni volta rifiutava di partecipare a questa o a quella manifestazione se gli altri convenuti non erano di suo gradimento. Ora è il turno di Jorit, muralista napoletano che viene sfruttato da Putin per riconquistare credito morale in Occidente, e non contento di fare semplicemente il suo lavoro va rilasciando dichiarazioni pubbliche. Le dichiarazioni vanno dal banale allo sciocco, del tipo che lì non c’è il mostro che viene descritto e che in Russia si può dire e fare quello che si vuole (come se si aspettasse di essere censurato o fosse un giornalista di ritorno da un viaggio inchiesta). Ma ancora più stupide sono state le reazioni in Occidente, dove una simile stupidaggine prima è finita con commenti indignati sulle prime pagine dei quotidiani e infine ha suscitato lo sdegno della vicepresidente del parlamento europeo Pina Picierno che ha proposto per lui sanzioni ad personam (non si comprende bene di che genere, ma la vecchia politica campana non è nuova a simili iniziative di misera demagogia, e il fatto che le abbiano fatto guadagnare tale carica spiega in quali mani si trovi l’istituzione europea).

Sarebbe bastato osservare che fatto salvo ad ognuno il diritto di pensare ciò che vuole la gestione critica della politica non dovrebbe essere affidata a chi dipinge sui muri ma ai politici, e che a noi questo ragazzo interessa come talentuoso pittore ma non per questo deve essere anche un grande intellettuale e un fine interprete della politica contemporanea (e lo direi anche se avesse detto che Putin è un bieco dittatore). Ma mentre quel muralista quando comincia a stare zitto non abbiamo dubbi che il suo mestiere lo sappia fare molto bene, questi politici di professione un serio dubbio che il loro mestiere lo sappiano fare ci viene proprio quando cominciano a parlare.

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