Il fastidio di pensare – La pace a tutti i costi

La guerra, si sa, è una gran brutta cosa. L’ultimo ad esaltarla, sulla scia di Sorel, fu Marinetti che all’inizio del Novecento la definì “la sola igiene del mondo”

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Le guerre nel mondo non sono mai mancate. Ma finora erano le guerre degli altri: argomenti di dotta conversazione geopolitica e di retorica umanitaria. Adesso, che rischiamo di avercele dentro, la parola sembra un po’ antipatica, e ci costringe a farci qualche domanda. La guerra, si sa, è una gran brutta cosa. L’ultimo ad esaltarla, sulla scia di Sorel, fu Marinetti che all’inizio del Novecento la definì “la sola igiene del mondo”. Ma adesso non ci crede più nessuno. Il mondo si può disintossicare anche in maniera meno cruenta. Ormai è ben chiaro che anche a vincerla una guerra se ne esce comunque con le ossa rotte, e la retorica dei nobili destini ha perso il suo fascino. Ormai le masse sono composte da singoli individui dove nessuno crede più ad occhi chiusi alla bonne guerre e ognuno prima di abbracciare un fucile vuole capire cosa gli si racconta.

Ma alla retorica della guerra adesso sembra essersi sostituita la retorica della pace

Ma alla retorica della guerra adesso sembra essersi sostituita la retorica della pace. Della pace a tutti i costi e a qualunque prezzo, anche a costo di calarsi le braghe. L’ultima volta che si tentò di ottenerla così fu alla conferenza di Monaco quando i potenti di allora, i primi ministri britannico e francese Chamberlain e Daladier pensarono di comprarla da Hitler regalandogli la Boemia. Poi durante il viaggio di ritorno sembra che il loro volto fosse piuttosto rabbuiato e sentissero dentro un vuoto di dignità per come si sarebbero dovuti mostrare in patria dopo un incontro in cui avevano accettato tutto a testa china. Ma si videro invece sorpresi quando invece si scoprirono accolti da autentiche ovazioni popolari. Alla gente non importava nulla del prezzo di quella pace e se a pagarla era stato il popolo ceco, chissenefrega, basta che non si parlasse più di guerra. Il segretario racconta che Daladier si muoveva a malapena tra la folla che gli gridava continuamente “Vive la paix!” e sottovoce, spaventato da quell’ondata emotiva, borbottava: “Questi pazzi … questi pazzi …” Si rendeva conto che il prezzo di quella umiliazione non sarebbe stata una pace troppo lunga e quella gente stava esultando scambiando le proprie speranze con le proprie illusioni. Il costo di quell’accordo infatti si vide presto, quando il dittatore tedesco inghiottì anche la Polonia e, dopo pochi mesi, su quella piazza festosa si videro giungere i carri armati tedeschi.

Si scoprì che forse l’idea di saziare la fame di un uomo pagandogli ogni volta il ristorante era una strategia da rivedere. Eppure è una tecnica ancora molto in voga anche perché permette, con un po’ di ipocrisia, di non sporcarsi le mani. E ci si dimentica che per volere la pace, che è una cosa splendida, bisogna innanzitutto essere in due, e quando la pace non c’è è perché uno dei due non vuole starsene buono. E i bulli, di solito, si spaventano solo della forza. Una prospettiva allucinante nei nostri tempi: perché adesso le guerre non vengono combattute più con le baionette, ma con armi terrificanti. Ma il problema, appunto, è che una grande potenza richiede di essere gestita con grande responsabilità, e non ci si può semplicemente permettere di dire che siccome si è molto forti allora gli altri devono solo stare a guardare.

La pace è una parola ambigua, e non può essere accettata solo come una semplice assenza di guerra

Perché la pace, infatti, è una parola ambigua, e non può essere accettata solo come una semplice assenza di guerra. Altrimenti questa dal punto di vista tecnico non sarebbe molto diversa da quell’ordine che Horace Sébastiani vide regnare a Varsavia. I russi quel tipo di pace sono bravissimi a farla e la hanno sempre fatta vedere anche in Ungheria, in Boemia, nel Caucaso, e adesso vogliono farla in Ucraina … In fondo, se si è smesso di picchiarsi, sempre pace è, adesso non stiamo a sottilizzare. È la pace che vorrebbero alcuni pacifisti nostrani alla Santoro o alla Travaglio. Se un bullo ti picchia e ti ruba la merenda, tu dagli subito la merenda e alla fine ti sei risparmiato le botte. C’è qualcosa di ingegnoso in tutto questo, una logica perversa ma cristallina. Se uno più forte viene a derubarti tu abbassa la testa e pregalo che ti lasci almeno qualcosa: ti ritroverai più povero ma non avrai molti lividi. Ma non ti aspettare che, dopo che gli avrai dato tutto, ti sarà rimasta la dignità. Quella la devi consegnare anche. Molte cose, se l’altro è più forte, se le può anche prendere; altre devi essere tu a scegliere di dargliele. Perché alla fine si può anche morire in piedi, diceva Panagulis, e anche se vedi che certe battaglie sono perse vanno combattute lo stesso. Perché l’alternativa che poi ti concederanno è di vivere sì in pace, ma non più da uomo libero. Ma da servo. E indubbiamente la scelta di una pace così ha mille giustificazioni e saranno tutte valide di fronte agli altri; ma quella della servitù ne ha una sola, e quella la devi dare a te stesso.

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