L’Italia politica scopre con un certo ritardo che il sogno del presidente del M5S, Giuseppe Conte, è quello di ritornare a palazzo Chigi. Davvero? Per chi ha occupato un ruolo di grande rilievo istituzionale, se continua a fare politica, è piuttosto normale che nei suoi obiettivi includa il ritorno nelle dorate stanze che lo hanno visto protagonista. Difficile pensare che tale ambizione possa procurare stupore o, addirittura, scandalo. E’ capitato per interi decenni ai leader della Dc. E non solo a loro.
Conte non ha quasi mai goduto di una buona stampa
Il fatto è che Conte non ha quasi mai goduto di una buona stampa. Su di lui pesano molti pregiudizi. Certe soluzioni istituzionali, apparse alla maggioranza degli italiani d’insopportabile sapore demagogico, nel tempo hanno inferto danni all’immagine, non di Grillo, ormai da tempo fuori scena, ma dell’avvocato con la pochette a quattro punte. Una bizzarria estetica che lo fa del tutto diverso da quell’esercito di antennisti, assicuratori, disoccupati di cui è in prevalenza costituito l’esercito del Movimento. Confesso però che, per quanto possa essere ininfluente il mio parere, l’ho sempre considerato un presidente del Consiglio di qualità. Sono convinto che una persona di buon senso, nel valutarlo, non può trascurare un elemento cardine del giudizio.
Si tratta di un personaggio preso di peso da uno studio professionale e catapultato, senza neanche una settimana di preavviso, in politica. Un mondo insondabile per un neofita. Catapultato – si badi – non in Parlamento, un luogo disseminato di anfratti dove ci si può nascondere agevolmente, ma nel ruolo di capo del governo, del quale in genere alla stampa non sfugge un respiro. Se poi si considera lo sfortunato periodo che gli è dato di vivere, quello del Covid, ci si rende conto che quel respiro non è sfuggito neanche all’Italia intera. Un Paese all’epoca rinchiuso in casa, stremato dal morbo, e assiepato come in un bivacco permanente intorno alla televisione nella speranza di trovare nelle parole del premier uno scampolo di serenità. Non è semplice in queste condizioni essere il capo di un governo.
Conte ed il rapporto con Di Maio e Salvini
Rilevo a questo punto un altro elemento ostativo, all’apparenza, ma solo all’apparenza, irrilevante. Nel suo primo anno di governo Conte si è trovato giocoforza accanto due vicepresidenti, Di Maio e Salvini, che facevano a gara per delegittimarlo. Nel senso che entrambi, ognuno per proprio conto, sussurravano, neanche a mezza bocca quale figura – naturalmente la propria – doveva essere considerata la vera guida del Paese. Aduggiato in patria dal giogo di questo incessante controcanto, l’avvocato del popolo si è visto all’epoca costretto a scegliere la via dell’esilio in Europa. Qui, lontano dagli asfissianti condizionamenti e avvantaggiato da una non comune capacità di apprendimento, riesce a intessere eccellenti rapporti istituzionali, che alla fine arrecheranno un inaspettato vantaggio all’Italia. Non bisogna dimenticare che la cospicua dote del Pnrr, di cui oggi gode il Paese, è da attribuire al poderoso impegno europeo di Conte. Un modello itinerante di governo che la Meloni ha preso con successo a prestito dal suo predecessore.
Il Conte di oggi
Veniamo all’oggi. Ci si era illusi, nel campo del centrosinistra, che la vittoria regionale in Sardegna avrebbe contribuito a sanare i dissapori degli ultimi tempi tra Pd e M5S. Invece alcune dichiarazioni e un paio di interviste di questi giorni, rilasciate dal presidente del Movimento, hanno messo in evidenza una sua posizione sempre rigida su temi cruciali come le due guerre, specie quella in Ucraina. Da che cosa dipende quest’atteggiamento intransigente? Provo a dire la mia. Conte ha due crucci che lo condizionano. Il primo. Mentalmente fa fatica ad accettare, come pretenderebbe il Pd, che di un’alleanza, ancorché necessaria per poter sconfiggere il centrodestra, il suo Movimento debba svolgere il ruolo del parente povero. Non riesce insomma a sopportare che l’intesa con il partito della Schlein debba essere firmata al buio senza prima stabilire priorità programmatiche ma anche poteri e ruoli tra le due formazioni politiche. Le quali, contrariamente a quanto avveniva ai tempi dell’Ulivo, sul piano del consenso, punto più punto meno, si equivalgono. Esiste poi una seconda ragione, di cui in genere nessuno scrive, ma che per l’avvocato del popolo assume un valore sommo. Conte, come ho accennato all’inizio dell’articolo, sa di non essere amato dalla grande stampa che non dimentica quella velleitaria carica rivoluzionaria del Movimento delle origini, racchiusa in due frasi insopportabili. “Apriremo il Parlamento come una scatola di tonno”. II Parlamento, senza alcun vantaggio economico per l’istituzione, è stato sì ridimensionato nel numero, ma non aperto, nel senso che immaginava Grillo.
La seconda frase è la seguente: “Abbiamo abolito la povertà” pronunciata da Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi. Il risultato? L’Italia oggi conta sei milioni di poveri. Di fronte a questa diffusa avversione dei media, che Conte sente sulla pelle, un solo quotidiano sembra filare indomito contro vento. Il Fatto di Travaglio. Non dispone di grandi tirature ma ha un vantaggio. E’ di sicuro il più letto nel mondo politico di casa nostra. Un quotidiano incline a svolgere una funzione prevalentemente dottrinaria nei confronti del M5S. Nel senso che indica i temi su cui non transigere. La fine della guerra in Ucraina è considerato il più importante. In compenso all’interno della testata tutti i giornalisti, a cominciare dal direttore, difendono il presidente del M5S. Talvolta con tanto slancio da arrecargli danno presso le testate concorrenti. Basterà a Conte questa corazza mediatica per fargli un giorno risalire le antiche scale?