Nell’era del gender fluid, di genitore 1 e genitore 2, di padri padroni e di padri assenti, arriva timorosa la Festa del Papà. Precisa come un orologio – d’altronde cade sempre il 19 marzo, giorno in onore di San Giuseppe – la ricorrenza si affaccia al 2024 con vergogna, riluttanza e anche un po’ di paura. Perché nella società in cui tutti accettano tutto, la figura del Padre resta inevitabilmente in secondo piano.
D’altronde, come spesso ci ricordano, “la madre è sicura, il padre no”. Un’espressione popolana eppure altamente discriminatoria: il papà è relegato ad un angolo buio della famiglia, quello che ha meno diritti come genitore, quello che devo fare il “maschio” ma non troppo, che deve essere da esempio ma senza intralciare la crescita del figlio.
Essere padre: una sfida persa in partenza?
Essere madre, non lo metto in dubbio, è difficile ma è anche un privilegio: il primo tra tutti, ad esempio, è quello naturale; la madre dona la vita, letteralmente, ai figli. Partendo da questo presupposto, ricoprire il ruolo di padre diventa una sfida, forse persa in partenza: come può l’uomo competere con madre natura – di nome e di fatto?
Un peso non indifferente, soprattutto se devi occuparti di una nuova vita che è “sangue del tuo sangue” ma è uscito dal grembo della mamma. Il padre, nell’era delle pseudo-femministe, è colui che deve provvedere al sostentamento della donna e dei figli e non ci sono santi che tengano: che la compagna lo abbia cornificato, poco importa. Lui dovrà lasciarle casa, spazio, tempo e luogo “per amore dei figli”.
E, come se non bastasse, dovrà passare anche il mantenimento, sempre “per amore dei figli”. Lui invece, il padre, si dovrà fare un mazzo così per tirare avanti da solo, con più della metà dello stipendio dilapidato mensilmente dalla ex, cornuto e mazziato. E quei poveri figli, di cui dovrebbe essere il punto di riferimento, diventano oggetto di contesa: se gli va bene, li vedrà una volta alla settimana e a qualche festa comandata, sempre se la madre vuole.
Che fatica essere papà
Ma questa è la prospettiva peggiore: se, invece. madre e padre vanno d’accordo – a tratti – e il genitore maschio avrà la fortuna di abitare sotto lo stesso tetto, allora DEVE partecipare attivamente alla vita del nucleo familiare. Che non significa passare tempo di qualità con i figli e aiutarli nella formazione verso adolescenti viziati e paranoici.
No, queste sono briciole: al padre è richiesto sempre uno sforzo in più, come se quel ruolo di genitore dovesse sudarselo ogni giorno. Come se il suo seme non avesse permesso lo sviluppo di quell’esserino che ora riposa in una culla da quasi mille euro, coperto da lenzuola di cotone egiziano che sbraita, mangia e fa i bisogni.
No, cari papà: quella letterina scritta male e colorata peggio, quei lavoretti fatti col Das che dovrebbero rappresentare una cravatta e invece sembrano la tua parte genitale maschile te li devi sudare, manco fossero il Premio Nobel. Devi essere padre e anche madre, devi essere l’uomo che lavora ma anche la donna che rassetta, devi garantire sostegno economico ma anche emotivo quando tuo figlio piange perché sta mettendo i denti, devi fare il poliziotto cattivo e quello buono, in base ai momenti.
Devi essere autorevole ma anche gentile, insegnare a tuo figlio a giocare a pallone e insegnare a tua figlia a giocare con le bambole ma anche viceversa, sennò ti tacciano di maschilismo e, come puoi immaginare, tutta la colpa ricadrà su di te. E tutto questo per vedere i tuoi figli felici, a discapito delle tue tasche vuote, del sistema nervoso alterato e della riga dei capelli che, ogni anno, arretra sempre di più. Tanti auguri, Papà!