Di padri padroni e figli disonorati: la storia di Maria Chindamo è la storia di tutte noi

Di Maria Chindamo restano le foto, il coraggio di ribellarsi e una storia da tramandare

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Di Maria Chindamo resta solo il sorriso, i capelli lunghi e scuri e gli occhi profondi racchiusi in qualche fotografia. Ma la donna che era, e che sarebbe diventata, non la stringiamo più tra le braccia, noi e chi le voleva bene. Perché Maria Chindamo è noi e noi siamo Maria Chindamo: perché se una donna viene trucidata allora tutte sentiamo il suo lancinante dolore.

Di lei, quindi, restano poche istantanee e una frase che l’ha marchiata per sempre perché, per la cronaca di tutta Italia, Maria è quella che è “stata uccisa e data in pasto ad i maiali“. Ed è pure quella che, nata – e morta – in Calabria, è indissolubilmente legata alla parola ‘ndrangheta.

Non solo Maria

Così come lo sono Annunziata Pesce, figlia del boss di Rosarno, uccisa perché aveva tradito il marito con un Carabiniere. O Concettina Labate dei “Ti mangiu” che decide di voler cambiare vita e, per questo, sparata. O ancora Lea Garofalo, scappata a Monza per allontanarsi dalle ‘ndrine e diventare collaboratore di giustizia: verrà sciolta nell’acido. O come Maria Chindamo, che ha deciso di fare l’imprenditrice agricola e di calpestare i piedi a qualcuno di troppo importante.

La voglia di riscatto

Tante donne, tante storie, un unico denominatore: la libertà di ribellarsi. Che sembra un concetto passato ma, in certi casi, è ancora un macigno da spostare: e per farlo, bisogna smottare il terreno, lo stesso che Maria lavorava e per cui venne uccisa. Perché Maria Chindamo non è quella che è stata mangiata dai maiali; lei è molto di più. Lei è la 42enne, originaria del reggino, che si è trasferita a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, madre di tre figli ed ex moglie di Ferdinando Punturiero, suicidatosi nel 2015.

Maria è colei che ha deciso di farsi carico della sua famiglia, di prendersi le responsabilità da “uomo” e di intestarsi quelle terre appartenute al marito. Lei è la donna che il 6 maggio 2016, nella data dell’anniversario del suicidio di Ferdinando, è andata incontro al suo fatale destino. Dalle terre in cui lavorava alle terre in cui è diventata mangime.

L’onta di rifarsi una vita

La ‘ndrangheta non le ha perdonato questa presa di potere, la voglia di rifarsi una vita dopo la separazione e la morte del marito, il rischio di cambiare tutto lasciando il suo lavoro da commercialista e dedicandosi all’agricoltura. A Maria Chindamo è stato negato il più elementare dei diritti, quello di essere se stessa. Di ritrovare l’amore e di ricostruirsi una vita con i suoi figli.

Il fratello della vittima, Vincenzo Chindamo, all’indomani del processo per l’omicidio della sorella che è stato già rinviato, riassume perfettamente l’idea di sottofondo del padre padrone e di quel disonore che ha macchiato la sua reputazione e grida vendetta. Vincenzo Punturiero – il suocero e presunto mandante dell’omicidio – non avrebbe sopportato quest’onta e avrebbe indicato non solo di uccidere Maria, ma anche il modo per farla scomparire”.

Maria e la sua ingombrante indipendenza

Maria aveva percepito qualcosa. Era timorosa, non era affatto serena: non pensava mai, però, che l’acredine del suocero potesse arrivare sino a farla uccidere. Era una donna tosta e, anche la ‘ndrangheta si era accorta della sua testardaggine quando, hanno tentato di accaparrarsi le sue terre. Ha stretto i denti, si è riorganizzata la vita si era ritagliata il suo spazio. Atteggiamenti che ancora oggi, da queste parti, sono considerati tabù”.

È così che finisce la vita di Maria, quella che è stata data in pasto ai maiali ma che è molto di più: di lei restano le foto, il coraggio di ribellarsi e una storia da tramandare.

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