Perché il Covid ci ha reso cattivi (e noiosi)

I morti dentro le bare di Bergamo e i "morti" che girano per le strade: il Covid ci ha cambiati, ma in peggio

StrettoWeb

Un anno fa, in questo stesso giorno, mi trovavo a scrivere uno dei primi editoriali per StrettoWeb: erano poco più di dieci giorni che lavoravo per una nuova realtà e, presa dal mio sguardo disincantato sul mondo – ammetto di sognare ad occhi aperti – mi sono lasciata andare ad un languido pezzo sulla Giornata Nazionale per ricordare le Vittime di Covid. Tra una panificazione e un’occhiata nostalgica verso il mare, ricordavo l’orrore di quella sfilata di bare a Bergamo del 18 marzo 2020.

Le immagini le ricordo ancora e nessuno, credo, le abbia mai dimenticate; così come non è possibile cancellare la pandemia e le persone che erano dentro quelle bare, e tutti quelli che le hanno abitate anche dopo, per sempre. Dai bambini ai più grandi, nessuno è stato risparmiato: i decessi, dall’inizio della pandemia ad oggi, sono oltre 190mila solo in Italia.

La pandemia dei cuori

Ma i morti non sono solo dentro quelle bare: esistono anche morti apparenti, il decesso di quei soggetti che, biologicamente parlando, sono ancora vivi ma tutto ciò che concerne la mente e i sentimenti è andato in totale black out. Perché la pandemia, come spiega l’etimologia della parola, “riguarda tutto il popolo”: e chi non è morto fuori, allora è morto dentro. Anche se il virus non ha intaccato le nostre vie respiratorie, ha sicuramente intaccato il nostro cuore.

Perché col Covid siamo diventati tutti più cattivi, più aridi, più sospettosi. E non è colpa dei cellulari, dei social e di tutte quelle menate pseudo-tecnologiche se siamo persone che non si fidano più: trattasi di una diretta conseguenza della pandemia che, per colpa del contagio, ci ha portato a dubitare non solo di amici e parenti, ma anche della nostra stessa ombra.

Il Green Pass per essere stronzi

E’ iniziato tutto con la paura: tutti a debita distanza, tutti lontani l’uno dall’altro. “Se quello tossisce è il diavolo; a quello gli cola il naso, se si avvicina lo mando a quel paese; oddio, mi ha sfiorato il braccio: dovrò dare fuoco a tutti i miei vestiti”. Il dubbio, però, da scudo protettivo per questioni igienico-sanitarie, si è esteso a tutti i campi: è come se avessimo acquisito il “green pass” per essere stronzi!

E dall’evitare il contatto fisico, portatore di germi, batteri, virus e morte sicura, siamo passati ad evitare le persone. I primi 10 giorni di pandemia piangevamo perché non potevamo vedere i nostri cari: videochiamate, meeting virtuali, scrivimi tu che ti scrivo io. Poi, l’entusiasmo si è spento: le chiamate si sono diradate e l’unica cosa che ci interessava era sapere se qualcuno fosse contagiato e morto.

Ogni cosa resta uguale… la noia

Abbiamo costruito una bolla di diffidenza ed egoismo i cui strascichi sono ancora palpabili: la strettaa di mano, l’abbraccio che tanto bramavamo, ci hanno stancati. Il cellulare sì, lo abbiamo in mano, ma per isolarci dalle persone che ci sono intorno e che prima non vedevamo l’ora divedere. Eravamo lì imprigionati, gridavamo sui balconi “ce la faremo”, ci siamo detti “appena uscirò farò questo e quell’altro” e poi ci siamo ritrovati punto e a capo, a fare solo un po’ più schifo.

Nessuno ha fatto nulla di speciale, come si sperava: le vite proseguono uguali e impassibili come nel 2019, il mondo è diventato più cattivo e la minaccia di una guerra mondiale si fa sempre più vicina (perché un’epidemia, ovviamente, non bastava). E’ il ciclo che si ripete: nessuno è diventato Madre Tresa di Calcutta, tutti abbiamo comprato uno smartphone nuovo e la gente ci fa solo un po’ più ribrezzo. E come dice Angelino Mango: “muoio senza morire, in questi giorni usati… la noia”.

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