Pippo Inzaghi, la Reggina, la Salernitana e il declino del calcio moderno

Dopo Brescia e Reggina, altra esperienza "sfortunata" per Inzaghi, che si è dimesso dalla Salernitana: Pippo vittima di un calcio in cui non si riconosce più

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“Con il primo mi è andata male, col secondo pure e sarà un caso, ma pure il terzo proprio no…”. Avrà pensato sicuramente questo, Pippo Inzaghi, ieri sera, dopo l’incontro con Iervolino. Finito malamente. Prima il contatto telefonico, l’accordo verbale sul ritorno, l’apertura sul prossimo anno (anche in caso di Serie B) e altre garanzie tecniche. Poi, di persona, tutto il contrario: di garanzie non se ne parla, ma solo fino a giugno. E allora Superpippo, con quella dignità che non ha mai perso – così come dimostrato a Reggio Calabria – ha preso in mano la penna e ha firmato le dimissioni.

Proprio come a Reggio Calabria, però, l’ex Milan è stato trattato non proprio nel migliore dei modi. Ed era accaduto lo stesso al Brescia e poi alla Reggina. E’ il declino del calcio moderno. E’ l’immagine di uno sport che in Italia ha cambiato totalmente faccia, pagando decenni di grandi Presidenti, grandi dirigenti, grandi personaggi. A rendere la Serie A il campionato migliore del mondo non erano solo le capacità economiche degli imprenditori a capo dei club, ma anche il loro carisma, la loro inventiva, la capacità di affidarsi alle persone giuste.

Pippo Inzaghi ha vissuto, da giocatore, quel calcio lì, anche se era già nella sua fase calante. Al suo fianco ha avuto le famiglie Agnelli e Berlusconi, ha avuto allenatori come Lippi e Ancelotti, si è confrontato con dirigenti del calibro di Galliani. Tutta gente che, a parte rare eccezioni, non si vede più. Ora ci sono presunti geni della finanza o ricchi magnati neofiti del calcio. E i danni si vedono.

L’incubo vissuto con Saladini

Senza scomodare Brescia, anche per evitare violenti contorcimenti di stomaco, possiamo parlare di Reggio Calabria e di quanto vissuto dal tecnico. Un matrimonio grandioso, fiducia, sorrisi e clima splendido. Saladini ha chiamato e convinto Inzaghi, che ha risposto con il suo solito entusiasmo e la sua smisurata passione. Aveva chiesto garanzie, promesse in parte fino a gennaio, qualche giorno dopo le immagini festanti della cena di fine anno. Sembra passata un’epoca, ma è trascorso solo poco più di un anno. Poi la richiesta di ristrutturazione, il mercato di gennaio bloccato (quando i vari Sirigu, Tuia, Viola e Coda erano praticamente a un passo), un girone di ritorno sottotono, i veleni, le richieste di dimissioni e l’urlo liberatorio di Reggina-Ascoli, a cui è seguito il “confronto” nel post gara.

Pippo Inzaghi però è rimasto lì, tutto d’un pezzo, ad ingoiare bocconi amari, accuse, anche offese. Ma i fatti gli hanno dato ragione. E’ stato trattato malissimo, ma lui ha vinto. La sua persona, il calcio di cui ha fatto parte, è fondato su principi e valori adesso perduti.

I mesi convulsi a Salerno

A Salerno, alla Salernitana, non pensava di poter incappare nella terza esperienza – per così dire – “sfortunata”. Anche qui ha chiesto garanzie, rinforzi sul mercato, provando a fare il possibile con un organico di molto inferiore alle speranze di obiettivi salvezza. Ma i rinforzi sono stati tardivi, il miracolo non è avvenuto e lui è stato esonerato. Qualche sassolino se lo è tolto, questa volta, e la piazza è rimasta dalla sua parte. Accade sempre così. Ieri, lo strano epilogo: è ancora sotto contratto, la Salernitana lo richiama dopo l’esonero di Liverani, lui raggiunge la Campania e va a colloquio col Presidente. I patti, però, non sono quelli stabiliti in precedenza. E lui firma e se ne va. Dimissioni. Sempre con dignità, quella dignità che gli è sempre appartenuta ma che, evidentemente, non si può comparare ai personaggi di un calcio moderno sempre più in declino.

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