Reggina, clamorosa sentenza della Corte d’Appello: titoli di Stato falsi e una voragine di debiti, Saladini rischia il carcere

Reggina, la Corte d'Appello ha avviato la procedura fallimentare accogliendo il ricorso di Inps, Inail e Agenzia delle Entrate contro l'omologa: dettagli inquietanti, Saladini rischia il carcere

StrettoWeb

La decisione era nell’aria da mesi, e non ci sono novità rispetto alle attese: adesso è ufficiale. Con la sentenza del 22 marzo, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha revocato la procedura di omologa della Reggina 1914, avviandone la procedura fallimentare. I dettagli della sentenza, però, sono clamorosi e rivelano alcune sorprese inattese che aggravano ulteriormente la posizione di Felice Saladini e di tutti i personaggi coinvolti in questa drammatica storia che – lo ricordiamo – è iniziata con quella controversa conferenza stampa del 12 giugno 2023 in cui Saladini e Cardona esultavano festanti per aver ottenuto l’omologa, scatenando la rabbia dei vertici del calcio e della politica nazionale per i contenuti e per la forma di quell’annuncio. Innanzitutto perchè era falso che la Reggina aveva ottenuto l’omologa (non era definitiva!), e poi per l’inopportunità di esultare sorridenti a poche ore dalla morte di Silvio Berlusconi.

Quella conferenza stampa è stata la fine della Reggina: su StrettoWeb lo scrivevamo subito, nei mugugni di una città ubriaca che preferiva credere a quel “genio della finanza” come veniva dipinto Saladini. E invece nei mesi successivi i fatti hanno dato ragione a chi aveva prospettato lo scenario peggiore, che è sembrato da subito il più realistico nonché l’unico praticabile in termini di legge. Oggi arriva l’ennesimo tassello che smonta tutte le frottole raccontate dalla vecchia dirigenza. La Corte d’Appello reggina, infatti, ha accolto il ricorso di Inps, Inail e Agenzia delle Entrate, che si erano opposte alla proposta di accordo presentata dalla Reggina al Tribunale che prevedeva lo stralcio del 95% della mole debitoria della società. Avevano ragione: lo ha deciso la legge. Il 5% era troppo poco, infatti Genova e Sampdoria hanno trovato un accordo con le parti intorno al 35-40% prima di arrivare in Tribunale, e poi solo dopo l’accordo hanno fatto l’omologa. Ecco perchè la loro omologa andrà in porto regolarmente e quella della Reggina no: nessun complotto. Semplicemente loro hanno fatto le cose per bene, a Reggio no.

I debiti provocati da Saladini

Nella sentenza della Corte d’Appello emergono chiaramente i numeri del debito della Reggina, certificati dai magistrati: al 30 giugno 2022, cioè all’arrivo di Saladini dopo l’addio di Gallo, la società aveva 16 milioni di euro di debiti maturati dopo quattro anni con una promozione e una pandemia. Poi i debiti certificati ad aprile 2023, quindi dopo appena 10 mesi di gestione Saladini, erano lievitati ad oltre 27 milioni di euro. Saladini, quindi, quello che a Reggio veniva celebrato come un “genio della finanza“, ha fatto 11 milioni di euro di debiti in dieci mesi: oltre un milione al mese. Una voragine incredibile! Le carte sulle condizioni del club parlano infatti di “evidente stato di crisi” e “deterioramento dell’equilibrio finanziario della società“.

I titoli di Stato falsi

Ma l’elemento più grave e anche inquietante che emerge dalla sentenza è che i titoli a garanzia depositati da Saladini in pegno per garantire gli impegni dell’omologa erano falsi. “Il Commissario giudiziale ha riscontrato una difformità tra il codice ISIN riportato nella relazione integrativa dell’attestatore e il codice ISIN riportato nella dichiarazione di veridicità a firma del notaio, dott. Becchetti; il quale ha negato di avere mai sottoscritto la dichiarazione predetta” si legge nel documento. Saladini, quindi, avrebbe utilizzato Titoli di Stato falsi per garantire gli impegni economici nell’omologa. “In relazione a tale aspetto, va disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria“, si legge nella sentenza che quindi prospetta scenari molto gravi per i responsabili: i reati ipotizzati sono molto seri. La nostra giurisprudenza, infatti, prevede che “chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni“; e inoltre “la pena per la truffa aggravata è la reclusione da uno e a cinque anni“. A rischiare, ovviamente, non è il solo Saladini. Adesso i magistrati dovranno scoprire chi ha falsificato le firme e chi sapeva di questo gigantesco imbroglio.

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