La scorsa settimana, la giornalista Valentina Petrini durante la trasmissione “Prima di Domani” condotta da Bianca Berlinguer su Rete 4 ha tirato in ballo lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria nel 2012 per difendere l’Amministrazione Comunale del Pd di Bari dal rischio di un destino analogo. Intervenendo nel dibattito sul caso Bari, Petrini ha detto che l’azione del ministro Pianetsodi non ha precedenti nella storia e ha aggiunto che qualcosa del genere “Si è fatto solo nel caso di Reggio Calabria, dove però c’era un Sindaco arrestato”.
E allora noi abbiamo contattato proprio quel Sindaco per farci raccontare la sua esperienza in prigione.
Demi Arena, com’è stata la sua esperienza in carcere?
“Come, scusi?”
Lei non è il Sindaco arrestato? Così ho sentito su Rete 4…
“Guardi, ho sentito le dichiarazioni della giornalista e ho anche letto il suo articolo di ieri. Apprezzo il suo tentativo di sdrammatizzare ma credo che su questi argomenti ci sia davvero poco da scherzare. Quella dello scioglimento del Comune di Reggio Calabria è ancora, dopo 12 anni, una ferita aperta non tanto per me ma per la storia di questa città. E le parole della giornalista su Rete 4 non fanno altro che confermare una certa strategia che la sinistra usa da sempre…”
A cosa si riferisce?
“Questa signora fa parte della grande schiera di giornalisti-militanti che occupa spazio nei talk-show, dicendo tutto e il contrario di tutto per partito preso. Un circo mediatico stucchevole ed irritante, di basso profilo culturale, che svilisce il dibattito politico relegandolo a sterile diatriba da bar dello sport. Ricordo di averla vista spesso tampinare il Governatore Scopelliti nelle sue uscite pubbliche quando lavorava su La7. La fake-news utilizzata per sostenere la sua tesi fa ritenere che sia incorsa in una clamorosa gaffe anche se, considerato che nel corposo dibattito sorto sul caso Bari si è parlato tanto della vicenda Reggio, non escludo che la giornalista militante abbia volutamente detto una menzogna, utilizzando quella consolidata tecnica utilizzata dalla sinistra di ripetere tante volte le menzogne fino a farle diventare mediaticamente verità. Per questo motivo ho investito della vicenda i miei legali”.
Più volte ai nostri microfoni ha dichiarato nel corso degli anni che è necessaria una operazione verità.
“Guardi, se io sono qui a parlare ancora dello scioglimento dopo 12 anni è proprio perché credo che senza verità su quello che è accaduto dopo l’elezione di Scopelliti a Governatore della Calabria, non ci possa essere futuro per questa terra. Vede, quel dannato provvedimento oltre a costituire uno sfregio permanente, ha segnato la storia della nostra città determinato le condizioni in cui oggi siamo costretti a vivere e ha pesantemente ipotecato il nostro futuro. Oggi l’assetto della comunità reggina è profondamente mutato a causa dell’imponente esodo dei giovani avvenuto negli ultimi anni, è venuta meno la componente più pregiata, quella parte che garantisce il ricambio della classe dirigente, che programma e realizza il futuro. Comunque le confesso che se non sentissi l’esigenza di fare chiarezza come un dovere verso la mia città, ne farei volentieri a meno di parlare di quelle vicende anche perchè devo constatare che da 12 anni sono pressoché il solo a trattare di questi argomenti anche se ricevo sollecitazioni e attestati di stima da parte della gente che invece avverte l’esigenza di giustizia per quanto è accaduto. Tutto ciò imporrebbe una riflessione”.
Che tipo di riflessione?
“Il caso Bari ha fatto esplodere un dibattito che purtroppo si è incardinato su una sterile e virulenta contrapposizione di tipo partitico, senza andare al nocciolo del problema che è quello di modificare l’articolo 143 del TUEL, questione che in più occasioni e contesti ho affrontato nel corso di questi anni. Ebbene, le assicuro che solo a Reggio Calabria non si è sviluppato alcun dibattito da parte dei partiti, nessun intervento nemmeno da parte di associazioni o movimenti politici su una questione che oggi è dibattuta a livello nazionale ed in particolare nei territori del Mezzogiorno. Questo impone una riflessione che probabilmente aiuta a comprendere le dinamiche politiche ed amministrative che stiamo vivendo. La totale assenza della politica è emblematica di un sistema di potere consociativo che aiuta a decifrare alcuni passaggi chiave, come l’esito delle elezioni comunali del 2020 con la vittoria di una classe dirigente che aveva dimostrato sul campo la sua inettitudine e la sconfitta di un centro destra a cui, in gergo calcistico, bastava appoggiare in rete la palla posta sulla linea di porta”.
Da sinistra nei giorni scorsi anche Massimo Canale, suo avversario alle elezioni comunali del 2011, ha chiesto che emerga la verità. Almeno su questo siete d’accordo.
“Per fare un’operazione verità bisogna essere credibili, occorre basarsi su dati oggettivi, possibilmente supportati da prove, da indizi o quantomeno da un ragionamento logico. Non mi sembra ci sia stato niente di tutto ciò. Le esternazioni dell’articolo di cui parla sono confuse, illogiche e contraddittorie, frutto di una cultura tipica della sinistra che quando non ha argomenti o vuole eludere un problema, travisa i fatti, alza i toni e crea confusione, per dirla in gergo romanesco, “la getta in caciara”. In questo caso, traspare anche il peso di una sconfitta elettorale, quella del 2011, mal digerita e non ancora metabolizzata, benché siano passati quasi 13 anni e il risultato non lascia spazio a discussione, fu un secco 56% a 28% con oltre 113 mila votanti: un’affluenza alle urne del 74,5%. Nelle elezioni successive ha mai più visto queste percentuali di affluenza, e quindi di interesse e vicinanza della popolazione alla politica?”.
E sull’operazione verità?
“Vede, il tema dell’accettazione di una sconfitta elettorale è anche un’importante chiave di lettura di quanto è accaduto a Reggio, perchè rappresenta la genesi di quella stagione dei veleni. Mi spiego meglio: nel 2002 la sinistra pensava di poter vincere agevolmente le elezioni facendo leva sull’onda emotiva della prematura scomparsa di Italo Falcomatà. Invece la vittoria di Scopelliti fu mal digerita, tant’è che nei primi anni di quell’Amministrazione di destra, la minoranza di centro-sinistra fece una feroce e livorosa opposizione ricorrendo persino alla compravendita di Consiglieri comunali pur di mandare a casa chi aveva legittimamente ottenuto il consenso popolare. Quella sconfitta nel tempo non fu metabolizzata, fino a divenire una vera e propria ossessione che ha indotto qualcuno a spostare il confronto sul terreno giudiziario ricercando in tale ambito le sponde giuste per sconfiggere un nemico. Anche perchè intanto con il modello Reggio, Scopelliti aveva ottenuto un consenso enorme: era il Sindaco più amato d’Italia, è diventato il primo e fin qui unico governatore reggino della Calabria ed era lanciato verso una leadership nazionale del Centrodestra. Troppo successo per non scatenare la rabbiosa reazione della sinistra, che in questa città non avrebbe mai più vinto le elezioni per decenni senza capovolgere la realtà con la leva del fango mediatico e la clava dei processi. Ben presto, così, quello che doveva rimanere nell’ambito di un confronto politico, magari anche aspro, si è trasformato in un’aggressione che ha assunto i connotati di una vera e propria faida. Un atteggiamento che purtroppo ha fatto riemergere quella cultura corrosiva ed autolesionista che ha sempre frenato la crescita di questa città”.
Come si è verificato questo cambiamento di passo?
“Si sono materializzati tutta una serie di personaggi, noti avvelenatori di pozzi, che hanno costruito un teorema mettendo artatamente insieme responsabilità personali, tristi eventi di cronaca con le oggettive difficoltà finanziarie che in quel periodo hanno afflitto gran parte dei Comuni d’Italia. Il malcelato fine era quello di scardinare il rapporto di fiducia che legava i reggini ad una classe dirigente illuminata e capace. In pratica è stata messa in atto una compulsiva e raffinata strategia, un’azione fuorviante tipica di chi si serve del sistema giustizia per il raggiungimento dei propri fini, che nel caso di specie non avevano nulla a che vedere con gli interessi della Città. Un’azione vergognosa che trovò ampia e decisiva sponda mediatica, con la discesa in campo delle più autorevoli firme del giornalismo e delle più importanti testate nazionali a sostegno di gruppi eterogenei che volevano assumere il governo della città bypassando il consenso popolare, in una comunità che, purtroppo, si è fatta fagocitare ed ingannare da quello che all’epoca fu definito “il grande imbroglio””.
Eppure la vicenda ha travalicato i confini cittadini giungendo fino in Parlamento.
“E’ proprio sui tavoli romani che viene compiuto il misfatto utilizzando armi improprie che nulla hanno a che vedere con uno Stato di diritto che si definisce democratico. Con una serie di interrogazioni parlamentari, nelle quali Reggio venne dipinta come una cloaca, sinonimo di città di ‘ndrangheta, prima è stato chiesto l’invio della Commissione d’accesso e successivamente il Commissariamento. Il tutto è stato orchestrato da menti raffinate che per decenni hanno occupato le stanze del potere, che hanno sfruttato una congiuntura favorevole”.
Ovvero?
“Al tempo l’Italia era guidata da un Governo che di tecnico aveva solo il nome, in quanto fortemente connotato e condizionato dalla sinistra, basti pensare che il Presidente della Repubblica era Napolitano, colui che nominò Monti alla guida dell’esecutivo. Il centrodestra era praticamente liquefatto a causa del colpo di mano che costrinse Berlusconi ad abbandonare nottetempo Palazzo Chigi. In questo scenario, fu gioco facile per chi operava gomito a gomito con le massime Istituzioni del Paese far adottare un provvedimento che ha distrutto Reggio e la sua comunità”.
In conclusione, possiamo dire che Reggio – dopo lo scippo del capoluogo – ha subito una seconda ingiustizia?
“Assolutamente si, con i tristi fatti del 1970 ci sono tanti punti in comune che devono essere trattati in maniera approfondita; mi limito a dire che definire delle semplici, se pur gravi, ingiustizie le due vicende è riduttivo. Sulla base delle congiunture temporali nelle quali sono collocate, le modalità utilizzate e soprattutto gli effetti che hanno prodotto, ritengo che sia più corretto considerarli veri e propri crimini sociali”.