I centri sportivi sono sempre più importanti, ma a Reggio c’è chi li denigra: l’esempio di Palermo

La svolta di Palermo, e prima ancora di Firenze, dimostra come ancora i centri sportivi italiani siano importanti per le società di calcio. Eppure...

StrettoWeb

Per un imprenditore le strutture restano – ad oggi – uno dei motivi di maggior stimolo su cui investire. Soprattutto, e ancor di più, nello sport e nel calcio. Un concetto che valeva 30 anni fa e che oggi è ancora attuale. E con ancora più forza. Perché, se nel calcio nostalgico dei Presidenti tifosi i maggiori azionisti investivano per passione, le sempre più numerose proprietà straniere di oggi lo fanno per interesse, per guadagno. E uno dei guadagni maggiori è sicuramente – oltre lo stadio – il centro sportivo.

Non per niente, se una delle proprietà più ricche e importanti al mondo, quella del City Group, arriva a Palermo, non è disposta soltanto a spendere milioni (che ha, e anche tanti) senza una logica, ma lo fa alla luce di una programmazione. Che passa dalle strutture. Che passa dal centro sportivo. E infatti domenica è stato inaugurato il primo centro sportivo della storia del club rosanero. Un’idea nata prima dell’arrivo degli sceicchi, finalizzata però da loro. E che potrà tornare utile per sempre, anche in futuro, anche dopo degli arabi. La dimostrazione che le strutture servono, anche e soprattutto oggi, nel 2024.

Prima ancora, qualche mese fa, a rubare la scena era stato Commisso con il suo Viola Park, un immenso centro sportivo, tra i più grandi e importanti d’Europa. A Firenze, una delle città più belle e importanti d’Italia. E in Serie A. Ma il concetto è lo stesso: le strutture servono siano essi centri sportivi o stadi di proprietà. E gli imprenditori da quello sono interessati.

Quanto ha speso il Palermo

Così come riporta Calcio e Finanza, per la sola costruzione della struttura il gruppo di emiri ha sborsato 7 milioni di euro. Una cifra importante, per loro probabilmente “barzellette”. Mentre, in generale, da quando il City Group ha scelto di acquistare il Palermo, e cioè da quasi due anni, l’investimento è stato di oltre 50 milioni di euro. Questo progetto, si legge ancora, deve anche considerare quella che è una piccola particolarità, soprattutto in Italia e soprattutto a questi livelli: il contributo simbolico di 65 mila euro di “Amici Rosanero”, l’associazione di tifosi tuttora detiene una piccola quota nel club a presidio del modello partecipativo che per statuto conta in assemblea il 10%, e che ha contribuito a dare vita alla rinascita del Palermo prima dell’approdo degli sceicchi di Abu Dhabi.

Reggina, la Fenice Amaranto e il Sant’Agata

E pensare che, al netto delle spese e dei progetti sopra illustrati – che richiamano all’importanza delle strutture nel calcio – qualche chilometro più a nord c’è chi queste le denigra. La Fenice Amaranto nella scorsa estate è stata scelta per far ripartire il calcio a Reggio Calabria dopo la non iscrizione della Reggina. Nel business plan aveva scritto che si sarebbe riappropriata del Sant’Agata, rimettendolo a nuovo dopo i diversi mesi di abbandono. Di recente, il patron Ballarino – a qualche giorno dall’annuncio della manifestazione di interesse da parte della Città Metropolitana – ha invece fatto intendere che la corsa al centro sportivo probabilmente non ci sarà. Troppi i costi per rimetterlo in sesto, troppi i costi per mantenerlo: “sono più per chiedere al Comune e alla Provincia un pezzo di terreno per un nostro centro sportivo”, ha detto l’imprenditore catanese.

Insomma, se nel 2024 il City Group costruisce un nuovo centro sportivo, il primo del Palermo, a Reggio Calabria c’è chi si permette di snobbare quello realizzato oltre 30 anni fa riqualificando una discarica abbandonata. Certo, nessuno mette in dubbio che i costi ci siano e siano importanti; nessuno fa i conti in tasca a nessuno; nessuno pensa che sia semplice gestire una struttura del genere; ma soprattutto nessuno vuole mettere a paragone Palermo a Reggio o l’appetibilità delle due piazze. Però, nel lontano 1991, quando fu realizzato, ma ancor di più negli anni precedenti, quando fu pensato, la Reggina non navigava di certo nell’oro, anzi. Però c’erano grandi personaggi, grandi idee, uomini cresciuti e personaggi vissuti. E quel centro sportivo, lo dice la storia, è servito davvero. Perché non basta averlo (e mantenerlo), ma serve avere anche le competenze per sfruttarlo a dovere. E se la Reggina ha giocato 9 anni in Serie A lo deve proprio al Sant’Agata e a chi lo ha saputo gestire, sfornando giovani che sono poi diventati Campioni del Mondo, Campioni d’Europa, Campioni d’Italia.

La Fenice Amaranto non è in grado di poterlo gestire? Bene, nessuno pretendeva che lo facesse prima che si presentasse a Reggio per fare calcio! Non sono stati loro a proporsi e a scrivere nel business plan che avrebbero investito per valorizzare la struttura? Pensavano forse che il centro sportivo fosse un campetto di periferia da gestire pagando 6 mila euro al mese? Ma soprattutto, se non erano in grado di gestire una struttura così, perché hanno compiuto un passo così importante a settembre? Anche perché ora, giustamente, la città chiede spiegazioni.

L’esempio Catania

La Fenice tuttavia non è l’unica. C’è un esempio ancora abbastanza recente, rispetto a Palermo ancora più vicino: il Catania. Il centro di Torre del Grifo, realizzato nel 2011, è abbandonato dal giorno del fallimento del club etneo, come accaduto in riva allo Stretto. Anche lì l’idea di realizzarlo, oltre dieci anni fa, perché se ne è capita l’importanza. Anche lì però richieste esose (decine di milioni di euro) e un abbandono che non è di alcuni mesi ma di due anni fa. Cifre molto più alte rispetto a Reggio. Ma a Catania non si può dire che gli investimenti non siano mancati, al netto del campionato disastroso di quest’anno. E poi, per Pelligra, non è solo una questione di costi, bensì anche di posizione, definita lontana rispetto alla città. Un’altra storia, che probabilmente avrà un epilogo diverso.

Condividi