Con il Def 2024 approvato un paio di settimane fa dal Consiglio dei Ministri l’auspicata riforma previdenziale in cui speravano milioni di italiani, dopo le promesse fatte in campagna elettorale dai partiti che hanno vinto le elezioni del 2022 va, almeno per quest’anno, definitivamente nel cassetto. Del resto, i numeri sono impietosi ed il costo della previdenza, che ostinatamente non si vuole separare dall’assistenza, evidenziano che quest’anno si spenderanno 337 miliardi e che complice anche l’inflazione questi costi aumenteranno nel 2025 a 345 miliardi, nel 2026 a 356 miliardi fino a raggiungere i 368 miliardi nel 2027. L’incidenza del costo della previdenza in Italia sul PIL sarà di oltre il 15% e raggiungerà addirittura il 17% nel 2024.
Le cause di ciò vanno cercate soprattutto nei costi dell’assistenza che negli ultimi dieci anni è aumentata di oltre il 30% e oltre all’inflazione, da due elementi che uniti creano una situazione esplosiva. Una è la fortissima denatalità che attanaglia l’Italia da oltre trent’anni e dove difficilmente potrà essere invertita la tendenza perché si è visto che in tutto il mondo occidentale le famiglie, nonostante gli sforzi economici che stanno facendo tutti i Governi, faticano a mettere al mondo più di un figlio, l’altra è, per fortuna, l’aumento dell’aspettativa di vita ormai arrivata in Italia a 83,1 anni che determina che gli assegni previdenziali siano corrisposti per più anni con costi maggiori per lo Stato.
In questa situazione dove anche il PIL fatica ad aumentare in maniera consistente, (appena l’1% quest’anno e 1,2% il prossimo) e con un debito pubblico che alla fine del 2025 sfonderà i 3.000 miliardi, ogni ipotesi di riforma previdenziale per quest’anno è impossibile e sarà anche molto difficile che sia attuata, come afferma l’Esecutivo, entro il termine della legislatura.
Per il prossimo anno sarà già importante confermare gli istituti di pensionamento anticipato che vanno in scadenza il 31/12/2024 come Opzione Donna e Ape Sociale, destinati però solamente a categorie svantaggiate e Quota 103 con tutto il calcolo conteggiato col sistema contributivo e che rischia di diventare Quota 104.
Si spera, almeno che il Governo voglia dare un impulso consistente alla previdenza complementare, che in Italia stenta a decollare per scarsa educazione finanziaria, con appena il 36% di adesioni rispetto, per esempio alla Germania che ha 84% e i Paesi Bassi al 93%, attuando una implementazione delle somme da dedurre unita ad una minore tassazione per far breccia soprattutto sulle giovani generazioni che saranno costrette a rimanere nel mondo del lavoro fino a 70 anni e con una pensione che sarà il 50% del loro stipendio.
Un quadro, quindi, purtroppo per nulla edificante quello che si presenta al Governo che, forse, dovrebbe pensare ad un nuovo modo di concepire la previdenza in Italia optando per un sistema misto a ripartizione/capitalizzazione e con un occhio alla problematica dei mancati contributi previdenziali determinato dall’avvento dei robot e dell’intelligenza artificiale che stanno già stravolgendo e lo faranno ancor più nei prossimi anni il mondo del lavoro nei Paesi industrializzati.