In Italia le rivoluzioni si fanno sempre a costo zero e magari, poiché non si sa mai di qualche inconveniente che si può incontrare strada facendo, con qualche strizzata d’occhio ai carabinieri. Adesso che il fascismo è solo un evento storico sperduto tra le ombre del secolo scorso c’è una gran gara a chi è più antifascista. E siccome la parola che in assenza dell’evento non significherebbe più nulla sembra invece avere assunto molto valore morale e di promozione sociale ci si prende a strattoni e gomitate per mettersi in mostra a dichiarare chi lo è di più e guadagnare più punti di fronte all’opinione pubblica.
Ma quando il fascismo c’era davvero, e di antifascisti sì che ce ne sarebbe stato un gran bisogno, di tutti questi antifascisti non se ne trovava uno. Passeggiando durante i miei vent’anni con Enzo Misefari, un fesso che antifascista si era proclamato in epoca sbagliata e cioè quando non gliene veniva niente, mi ripeteva sconsolato: “Se al confino non ci fossimo stati solo quei quattro gatti forse il regime non sarebbe durato vent’anni”. Ma erano tutti distratti da altre cose. In Italia è così, bisogna sempre stare dalla parte giusta al momento giusto. Anche quando gli si chiese il giuramento di fedeltà tutti gli illustri intellettuali non si tirarono indietro per non perdere qualche privilegio. Professori di ogni ideologia e di ogni credo morale non ebbero problemi ad assicurare il regime di formare “cittadini probi e devoti alla Patria e al Regime Fascista”. Le giustificazioni poi, eventualmente, si trovano sempre.
I cattolici giurarono “con riserva interiore” e i comunisti per svolgere, dissero dopo, “un’opera estremamente utile per il partito e per la causa dell’antifascismo”. Non ci permettiamo di dubitare, ma crediamo che l’unico ideale che in Italia sia sempre stata praticato sia quello che Guicciardini chiamava, con schiettezza, “il mio particolare”. Poi quando il fascismo si mostrò cadaverico ci fu un improvviso risveglio morale e vennero fuori i partigiani a dare qualche calcio al moribondo per dire che c’erano anche loro e, quando finì del tutto, da un giorno all’altro non si trovò più un fascista in giro. Churchill sorrise dello strano costume di questo bizzarro paese dalla turgida morale che in quell’anno aveva avuto novanta milioni di abitanti: quarantacinque milioni prima e quarantacinque dopo l’8 settembre, anche se non erano registrati in nessun ufficio anagrafico.
Dopodiché, cambiati i tempi, essere antifascisti è diventato un obbligo, anche per chi durante il ventennio aveva partecipato al banchetto. Anzi, proprio quelli seduti a tavola avevano avuto bisogno di gridare di più la loro adesione ai nuovi tempi. Ma non ce ne era neanche bisogno. L’Italia è sempre stata un paese con una morale a cottimo dove si vendono taglie per tutte le stagioni e in cui ognuno, come diceva Angelo Musco, aggiusta le vele per come tira il vento.
Adesso che il fascismo è confinato tra le pagine della storia non ci sarebbe più bisogno di tante polemiche ma, dicono, bisogna vigilare affinché non ritorni la dittatura e la violenza. Ma noi crediamo che la dittatura e la violenza non abbiano più il volto a cui certi sciocchi danno un’immagine cercandola nelle pagine sbiadite di vecchi libri ma ne abbia una nuova, adeguata alla cultura del nostro tempo in cui questa società è andata ad immergersi mentre si preoccupava solo di fuggire da un passato morto. Noi crediamo che non è il ritorno di un fascismo con l’orbace e il fez che bisogna temere e che viene additato come spauracchio a queste masse che per sentirsi la coscienza a posto sventolano sui palchi bandiere e gagliardetti per esorcizzare una cosa terminata otto decadi fa. Ma un “fascismo” nuovo, di cui si era già accorto più di mezzo secolo fa Pasolini. Ed è quello, se così vogliamo continuare a chiamarlo, non più scenografico e di cartapesta di un capo che si mostra tonitruante su un palco desideroso d’apparire. È, al contrario, una violenza silenziosa, molto più subdola e surrettizia che ha ormai avvolto questa società e la sta corrodendo.
E, paradossalmente, si fa scudo proprio di questo termine da buttare in faccia, ormai privo d’ogni valore, a chi osi pensare diversamente in una società omologata e omogeneizzante. E non è più neanche una dittatura che ha fatto dell’apparenza la sua ragion d’essere. I veri padroni del pensiero unico non vanno più cercati a bella vista dietro i microfoni e le telecamere, ma ben occultati tra quelli che pagano i giornali e l’informazione, che muovono i partiti e la banche. E sorridono quando si continua a parlare del pericolo fascista rispolverando immagini di fasci littori, moschetti e nuove biografie di Mussolini etichettato come un banale delinquente.
E quanto tutti questi nuovi antifascisti a cottimo si siano dimostrati amanti della libertà si è visto durante l’ultima prova dittatoriale italiana quando Draghi, l’uomo “della necessità”, è stato richiamato a occupare la presidenza del Consiglio direttamente dai suoi impegni di alto funzionario internazionale di banca, e all’Assemblea di Confindustria è stato accolto con una standing ovation di dieci minuti. Anche la politica gli si è subito prostrata innanzi. Mussolini aveva dovuto faticare per costruire il suo Stato, qui la democrazia italica si è velocemente sciolta dinnanzi al nuovo padrone. Subito, senza neanche passare dalle elezioni, una maggioranza parlamentare quasi totalitaria che Mussolini non avrebbe neanche potuto sperare si è messa a disposizione del nuovo leader che nonostante tutto si è permesso di ignorarla governando direttamente con l’esecutivo, con una stampa che espressamente ha dichiarato che non avrebbe contrastato i decreti governativi e illustri intellettuali hanno espressamente detto che il Presidente andava investito di pieni poteri senza scomodarsi di passare dalle elezioni e di prendere a cannonate chi osava sfilare in piazza. Tutto legale, ovviamente (ma non lo era anche Mussolini, e con giuristi di ben più alto spessore?).
Lì ci sarebbe voluto un po’ di antifascismo, ma non si è vista una voce in giro, tranne i soliti quattro gatti che dietro ogni carro del vincitore preferiscono restare a piedi. E gli unici antifascisti, appunto, erano i “fascisti” che non si volevano allineare. Perché ormai osare pensare diversamente è offensivo.