Il 1° aprile, è stato pubblicato su StrettoWeb un articolo-pesce d’aprile, secondo una vecchia tradizione di questo giornale. Il titolo era “Vietato l’uso di termini stranieri: sarà legge dello stato”.
Nonostante vi si ipotizzasse un’idea fantascientifica e grottesca, cioè che il Governo starebbe lavorando per attuare una legge al fine di vietare in Italia l’uso di termini stranieri, come peraltro era accaduto le altre volte, qualcuno che non è andato fino in fondo all’articolo ci è cascato!
Governo Meloni e parole straniere
Per la verità, durante il ventennio fascista ai governanti di allora l’idea non dovette risultare per nulla fantascientifica e grottesca, stante i vari provvedimenti analoghi varati a quel tempo e che sfociarono in uno specifico decreto nel 1939, per giungere infine, durante il periodo bellico, persino all’accusa di anti-italianità per chi osasse proferire in luogo pubblico parole come hobby o cognac.
A titolo di cronaca c’è da aggiungere che, dopo la pubblicazione dell’articolo, al di là dei tanti commenti scherzosi ricevuti e di qualcuno ci ha tenuto a precisare che la legge sarebbe almeno in parte condivisibile, un tale mi ha accusato di anti italianità (ma guarda un po’), tenendoci peraltro a evidenziare come io non sia famoso, mentre un generale che ha scritto un libro di minchiate, cui facevo cenno nel pezzo in questione, invece lo è(!).
In ogni caso non sapevo, né avrei mai immaginato, che lo scorso anno, alcuni parlamentari (è superfluo dire di quale parte) avevano presentato davvero la proposta per una legge (anche se limitata alla pubblica amministrazione) come quella che mi ero inventato per il pesce d’aprile. È proprio vero: la realtà supera sempre la fantasia!
Multa per l’uso di parole straniere
C’è da dire inoltre che io mi ero limitato a prevedere una multa massima di euro 9980 per i trasgressori, mentre i firmatari della proposta pare ritenessero fosse meglio portarla a 100.000. Comunque, al di là di qualche commento sarcastico giunto da più parti, di quella proposta non se ne è più parlato.
Che un governo possa imporre quali debbano essere le parole da usare e quelle da bandire perché non facenti parte della tradizione nazionale infatti non sembra proprio una grande idea, forse sarebbe più appropriato dire che è un’idiozia.
La lingua infatti, come le usanze, gli abiti, la società tutta, in ogni paese del mondo sviluppato, subisce cambiamenti nel tempo, tanto è vero che molte cose che oggi fanno parte della tradizione, un giorno non lo erano.
È comprensibile come per tanta gente i cambiamenti siano difficili da accettare, specie per le persone più anziane. Infatti, ogni cambiamento contempla uno sforzo, piccolo o grande che sia ed obbliga ad uscire dalla propria zona di comfort.
A ciò si aggiunge poi talvolta la componente ideologica, diffusa tipicamente nel segmento meno aperto della società e che, nel tentativo di giustificare la propria convinzione, tira in ballo motivazioni etiche, storiche, didattiche, simboliche, ideologiche appunto.
Ove, invece, qualcuno volesse giustificare l’embargo linguistico come una questione di par condicio (relatori della legge, tranquilli, è latino) nei confronti dei “barbari”, bisognerebbe far loro notare come tantissime parole italiane siano utilizzate in tutti i paesi del mondo, pur non facenti esse parte della storia delle relative lingue e senza per questo suscitare bellicosi propositi proibizionistici al riguardo. La cosa viene accettata persino dai nostri cugini transalpini (anche se probabilmente non tanto volentieri) i quali, in quanto a nazionalismo, sicuramente ci possono fare scuola.
Il sovranismo alimentare: tra farina di insetti e ignoranza in polvere
L’idiozia del sovranismo linguistico fa tuttavia il paio con un’altra, quella del sovranismo alimentare.
Infatti coloro che oggi inneggiano al pomodoro ed al caffè perché questi alimenti fanno parte della italica tradizione, per poi arrivare a vietare l’importazione della farina di insetti, per poi magari fare lo stesso con gli spaghetti di riso, oppure proibire il consumo di kebab nei centri storici delle nostre città, perché questi prodotti non ne fanno parte, dovrebbero sapere che pomodoro e caffè così, come anche le patate, (ma potremmo continuare ancora) una volta non facevano per niente parte della italica tradizione: in Italia non c’erano proprio. Ma probabilmente, anche all’epoca dell’arrivo di quei prodotti nelle tavole dei nostri antenati, ci sarà stato qualcuno pronto a mettere in guardia dalle contaminazioni dell’italica tradizione. Ma sappiamo come, per fortuna, è poi andata a finire.