L’ultima dei No Ponte non poteva che essere questa: le ingerenze della ‘ndrangheta nella costruzione dell’opera di collegamento stabile tra Calabria e Sicilia. Già, perché dopo che sono decaduti quasi tutti i motivi del “No” e le teorie nopontiste sono state smontate pezzo per pezzo dagli esperti (quelli veri), in Calabria e Sicilia l’argomento Jolly con il quale si vince facile è la criminalità organizzata. Nomini quella e tutti si mettono sull’attenti gridando allo scandalo! Ed è cosi che stanno ora facendo con gli espropri.
Prima dicevano che avrebbero danneggiato i cittadini, ora – di fronte all’evidenza che i cittadini hanno tutto da guadagnarci – gli espropri sono diventati un beneficio per i proprietari dei terreni interessati e andrebbero, secondo i No Ponte, a riempire le tasche della ‘ndrangheta. Ma andiamo con ordine.
Gli espropri sui terreni dei Mancuso
Come si legge su “Il Fatto Quotidiano”, a guadagnarci sarebbero in particolare le cosche di Limbadi, roccaforte dei Mancuso. Qui, secondo il progetto definitivo pubblicato dalla società “Stretto di Messina Spa” e dal “Consorzio Eurolink” guidato da Webuild, sorgerà il deposito di materiale inerte (Cra3) in una zona rurale denominata “Petto”. Si tratta di una grande discarica dove verrà riversato materiale per oltre un milione e mezzo di metri cubi. In un’altra area, poi, avverrà lo stoccaggio di ulteriori 335mila metri cubi di materiale a carattere temporaneo.
Per fare tutto ciò lo Stato dovrà espropriare oltre 70mila metri quadrati di territorio, di cui quasi 60mila sarebbero di proprietà dei familiari dei Mancuso. Una circostanza, questa, ancora tutta da verificare ma che ha già fatto partire in quarta i detrattori del Ponte.
Bonelli contro Ciucci
“Ciucci, nel rispondere all’articolo del Fatto Quotidiano, avrebbe dovuto spiegare perché la discarica di materiali inerti denominata Cra3 – nella zona rurale denominata Petto – è stata individuata nelle particelle catastali di terreni di proprietà della temutissima famiglia dei Mancuso. Ciucci ci parla di protocolli di legalità per evitare infiltrazioni mafiose, ma perché, prima di individuare aree da espropriare per attività di discarica o deposito materiali, non sono stati individuati i proprietari?”. Lo ha dichiarato in una nota il deputato di Verdi e Sinistra Angelo Bonelli.
“La notizia riportata dal Fatto Quotidiano è grave e per questo chiedo formalmente alla Direzione Distrettuale Antimafia e alla Presidente della commissione bicamerale antimafia On. Colosimo di avviare un’indagine sulle proprietà dei terreni dove sarà realizzata l’opera. Essendo un progetto vecchio di 15 anni, la criminalità organizzata può avere avuto tutto il tempo di acquistare terreni con l’obiettivo di prender soldi pubblici“, conclude Bonelli.
Nessuna certezza ma molti controlli
Ora, cosa ci dice questo comunicato di Bonelli? Semplice: che come al solito i No Ponte si contraddicono da soli. Il deputato dei Verdi chiede “un’indagine sulle proprietà dei terreni”, ammettendo di fatto come non vi sia alcuna certezza in merito alle ingerenze dei Mancuso. Inoltre, i No Ponte sono passati dal considerare gli espropri un danno per i cittadini al definirli un privilegio che, ovviamente, non può essere concesso alla ‘ndrangheta.
Insomma, siamo alle solite: pur di dire un No politico si appiglierebbero a qualsiasi cosa. E Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, li ha già messi a tacere spiegando che “si stanno facendo appositi protocolli di legalità per dare trasparenza. Non si può semplicemente dire che nella realizzazione del Ponte sullo Stretto ci possono essere problemi legati alla legalità: può accadere qui e dappertutto. I problemi vanno gestiti insieme dal sistema delle imprese e dai corpi dallo Stato: non abbiamo timori da questo punto di vista“.