La “mutazione genetica” di Cafiero De Raho da giudice a politico, Bernini: “il M5S non grida più onestà”

Il caso Aemilia e la figura di Giovanni Paolo Bernini riemergono prepotentemente ora che l'operato di Cafiero De Raho è sotto la lente di ingrandimento

StrettoWeb

Quello che a tutti gli effetti possiamo definire scandalo dossieraggio – perché più che un caso è un vero e proprio scandalo giudiziario – ha influito nel corso degli anni, e influisce ancora oggi, sulla vita politica reggina e calabrese. Sebbene il vaso di Pandora sia stato aperto dalla procura di Perugia, la questione riguarda tutta Italia, e la Calabria e Reggio in particolare, perché tra i nomi dei principali protagonisti ambigui di questa vicenda vi è Cafiero De Raho, Procuratore Capo della Repubblica di Reggio Calabria da marzo 2013 a novembre 2017.

Periodo in cui, secondo quanto sta emergendo in queste settimane, i suoi rapporti con il finanziere Striano sarebbero stati più stretti di quanto gli stessi non abbiano ancora ammesso. Ma per comprendere come un’indagine sbagliata o un filone investigativo fuorviante possa cambiare le sorti politiche di un territorio, cosa che in Calabria accade sempre più spesso, basti pensare a Giovanni Paolo Bernini, che calabrese non è e in Calabria non vive, ma è stato coinvolto in una delle più grandi indagini contro la ‘ndrangheta. Indagine che, alla fine del secondo grado di giudizio, si è rivelata essere fallimentare nella parte in cui coinvolgeva figure politiche. Forse ci si è concentrati sulle figure politiche sbagliate?

Il caso Aemilia

Bernini è ex Assessore e Presidente del Consiglio a Parma, coinvolto suo malgrado nel mega caso Aemilia, ovvero il più grande processo contro la ‘Ndrangheta al Nord e non solo, con oltre duecento persone arrestate in una notte, conferenze stampa in pompa magna, milioni di euro sequestrati, il tutto per fare terra bruciata intorno ad una ‘ndrina insediata in Emilia Romagna. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio, è uscito indenne – da completo innocente – da una tumultuosa vicenda giudiziaria che ne ha minato la reputazione, la carriera e la vita e ha deciso di mettere nero su bianco quanto accaduto nel libro-rivelazione “Colpo al sistema – ‘Ndrangheta, Pd e il pm prestato alla politica”. Il tutto dopo due assoluzioni in primo e secondo grado su entrambe le ipotesi di reato.

Un libro dai contenuti forti, diretti, senza mezzi termini, il quale in un momento storico come quello dello scandalo dossieraggio che stiamo vivendo diventa una sorta di manuale da leggere e contestualizzare per comprendere davvero cosa sia accaduto – e cosa stia ancora accadendo – nel mondo della magistratura italiana.

Cafiero De Raho

In particolare il riferimento è alla figura di Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia e figura centrale nella recente questione dossieraggio. Il racconto di Bernini, non romanzato né tantomeno ipotetico, è basato su contesti concreti, prove evidenti e circostanziate. E queste circostanze, queste prove, Bernini le ha spiegate ai microfoni di StrettoWeb, facendo così luce su dinamiche lontane dalla Calabria, ma che interpretate con la giusta chiave di lettura aiutano a chiarire quando accaduto anche alle nostre latitudini negli ultimi decenni.

Al tempo in cui il procuratore nazionale antimafia era Pietro Grasso, al quale è subentrato poi De Raho, si è aperto un filone d’indagine che aveva nel mirino una ‘ndrina che da Cutro, da oltre 20 anni, aveva trasferito i suoi affari e le sue attività in Emilia Romagna. Alle indagini è seguito un processo al termine del quale nessuno dei politici coinvolti è stato condannato. Erano innocenti.

Il caso Mescolini

Una forzatura, dunque, che Bernini denuncia insieme a tante incongruenze come quella, ad esempio, del magistrato Marco Mescolini. Mescolini era consulente del governo Prodi nel 2006, poi tornò in magistratura e gli venne affidato il più grande processo contro la ‘ndrangheta, durante il quale vennero colpiti due avversari della sua parte politica. Sull’operato di Mescolini, spiega Bernini nel suo libro, si crea il caso. O il caos.

Nell’inchiesta Aemilia e sul caso Mescolini Bernini si chiede: “Come mai passarono 10 mesi prima di inviare la Relazione sull’operato di Mescolini alla Procura generale della Corte di Cassazione?”. Ed è qui che emerge il nome di Cafiero De Raho, in una chat tra l’allora ministro dell’interno Marco Minniti e Luca Palamara.

“Salviamo il soldato Cafiero”

Il CSM aprì una pratica poi archiviata sulla vicenda. Ma il consigliere togato di Autonomia&Indipendenza, Sebastiano Ardita nell’aprile 2022 lamentava: “C’è una chat tra Luca Palamara, allora consigliere del CSM, e il ministro dell’interno in carica Marco Minniti che, rivolgendosi a Palamara all’indomani della mancata nomina di Cafiero de Raho a Procuratore a Napoli, ha usato l’espressione -‘salviamo il soldato Cafiero‘-”. É una chat che andrebbe approfondita chiedendo magari agli interessati a cosa si riferissero, quale battaglia era stata combattuta, poi chiarita e magari inserita nel provvedimento“, “o cosi tutto rimane vago. Ci sarebbe anche da comprendere per quale ragione il Ministro dell’Interno si rivolge a Palamara, a che titolo lo investe delle sue preoccupazioni, questo rimane a oggi un tema inesplorato, neanche riportato in delibera“.

Tornando al caso Mescolini, dopo le interrogazioni datate 2020 di Gasparri e Quagliariello, i quali pretendevano chiarezza sull’operato del pm, “la Procura generale della corte di cassazione – racconta Giovanni Paolo Bernini – il 14 settembre 2020 chiede alla Procura nazionale antimafia una relazione sull’inchiesta Aemilia e sull’operato del pm Mescolini“. “Dopo dieci mesi, precisamente il 7 luglio 2021, il pm Pennisi riceve la richiesta da parte del procuratore nazionale De Raho di produrre la Relazione. E lui la inviò dopo sette giorni. Ma come mai passarono dieci mesi?”, si domanda Bernini.

La relazione chiusa nel cassetto

La relazione in questione, come già scritto in un articolo su Il Giornale, è rimasta chiusa in qualche cassetto nel Ministero. E il motivo è semplice da comprendere: si tratterebbe di un esplicito atto di accusa sulle modalità di conduzione dell’indagine che ha portato al mega processo Aemilia. “All’epoca il ministro della Giustizia era il grillino Alfonso Bonafede nel governo giallorosso. Alle politiche del 25 settembre 2022, il procuratore de Raho, nato a Napoli, viene candidato alla Camera dei Deputati proprio dal Movimento 5 Stelle come capolista nel collegio plurinominale Emilia Romagna 3, dove risulterà eletto e in quello della Calabria. Insomma, attualmente da giudice si è trasformato in un politico pentastellato. E forse questa mutazione “genetica” spiega perché nel Movimento 5 Stelle non ci sia più nessuno disposto ad urlare “onestà”?“, si legge nel libro di Bernini.

“Sono fiducioso che l’on. Cafiero de Raho saprà dare una giustificazione alla scelta di ritardare per così tanti mesi l’invio della Relazione su Mescolini e, per rimanere in tema, spero che l’onorevole De Raho possa fugare anche i legittimi ed imbarazzanti sospetti circa la parentela certa con l’ex capo di Gabinetto del ministro Bonafede, appunto il cognato Raffaele Piccirillo, che chiese, in data 7 settembre 2020, ed ottenne, in data 21 settembre 2020, le Relazioni della DDA per rispondere alle interrogazioni depositate, in data 3 settembre 2020, sul pm Mescolini e su inchiesta Aemilia dei senatori Gasparri e Quagliariello, che però restarono ben chiuse nei cassetti impolverati del ministero, lasciando i due parlamentari senza mai risposte”, chiosa Bernini.

Raffaele Piccirillo, il cognato di Cafiero De Raho

Accade infatti, spiega ancora Bernini, che “l’ex Capo di Gabinetto del Ministro Bonafede (Governo giallo-rosso presieduto dall’avv. Giuseppe Conte) Raffaele Piccirillo, cognato dell’ex Procuratore nazionale antimafia, Cafiero De Raho, oggi deputato grillino, al fine di rispondere alle interrogazioni depositate il 3 settembre 2020 dai Senatori Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello sul pm. Marco Mescolini e sulla conduzione della inchiesta Aemilia, ottenne in data 21 settembre 2020, la Relazione della DDA di Bologna a firma del pm. Beatrice Ronchi.

Esattamente in un giro di comunicazioni degno di una Nazione in preda alla burocrazia: il capo gabinetto scrive in data 7 settembre 2020 al magistrato addetto del Dipartimento Organizzazione del Ministero che a sua volta scrive, in data 15 settembre 2020, al Procuratore generale della Corte di Appello di Bologna che, a sua volta scrive, al Procuratore della Repubblica di Bologna che, a sua volta incarica, la pm Ronchi di redigere la Relazione che appunto perviene al Capo Gabinetto del Ministero in data 21 settembre 2020. La relazione però rimase nei cassetti del Ministero ed i due parlamentari non ottennero mai risposta alle interrogazioni a risposta scritta“.

La ricerca della verità

Cercare e diffondere la verità, in questo contesto, diventa un dovere imprescindibile. Come sostiene Riccardo Colao nella premessa editoriale al libro di Bernini, “la ricerca della verità dovrebbe costituire lo scopo principale di chi è preposto – dopo aver vinto un pubblico concorso – a giudicare i comportamenti dei cittadini allorché ledono gli articoli ospitati nel Codice Penale.

Accade invece (negli ultimi tempi con inquietante frequenza) che alcune “mele marce” (chiamiamole così o preferite “i furbetti del sistema”?) antepongano interessi personali e quelli dei partiti politici, in cui si sentono rappresentati o dai quali sperano d’essere raccomandati per avanzare in carriera, fottendosene allegramente del reale compito a cui hanno prestato giuramento”.

“La Giustizia italiana ha anche le persone serie e di queste persone serie però si è persa traccia”

Indro Montanelli, in un’intervista, ebbe a dire che “il peggior lascito, involontario, di “manipulite” perché i procedimenti furono talmente pubblicizzati, reclamizzati, portati sul grande palcoscenico pubblico che stimolarono in tutti i magistrati italiani una gran voglia di protagonismo e di concorrenza nella pubblicità… Intendiamoci bene la Giustizia italiana ha anche le persone serie e di queste persone serie però si è persa traccia perché le persone per bene non fanno… non fanno notizia… non fanno baccano… non appaiono sulle prime pagine dei giornali… non lasciano dichiarazioni incendiarie.

Tutto questo è avvenuto a causa dei mezzi di comunicazione che hanno seminato in una professione che dovrebbe attenersi alla riservatezza assoluta, questo virus del protagonismo che ormai travolge tutto è diventata una categoria di pagliacci che pur di apparire sulle prime pagine dei giornali inventano pure i processi”.

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