Alla veneranda età di 32 anni ho scoperto che l’arma più potente in nostro possesso è la penna. O, se vogliamo buttarla sul digitale, una mera tastiera da computer. Perché la penna, potente come una pistola, ha delle cartucce “speciali“, le cosiddette parole, che riecheggiano più di uno sparo e possono fare tanto, troppo rumore. Scrivere, di questi tempi, è un atto rivoluzionario ed è segno di libertà. E proprio perché ho scritto, mi ritrovo oggi a dover fare i conti con chi, questa libertà, cerca di negarla.
In redazione è arrivata una mail dove, facendo riferimento ad un mio pezzo di ieri, 22 maggio, si chiede rettifica dell’articolo “Calabria, il caso Trebisacce: il sindaco rinviato a giudizio e la barzelletta della lista “Rinascita”. Ahimè, quando di mezzo ci sono le elezioni, una notizia banale e accertata, già riportata su diverse autorevoli testate locali e nazionali nei mesi precedenti, diventa ora oggetto di agitate reazioni.
Nella mail ricevuta, inviata dallo Studio Legale dell’Avvocato Francesco Mundo, si taccia il mio articolo di aver riportato il falso. Riporto uno stralcio di quanto affermato nella lettera recapitata: “detto articolo chiaramente offensivo e denigratorio riportava peraltro una serie di notizie false ad iniziare di un presunto rinvio a giudizio per alcuni reati allo stato inesistente ,nonché dei giri della moglie del sindaco per il mercato in cerca di voti definendo la lista RINASCITA una barzelletta con fine chiaramente offensivo e diffamatorio. Tali notizie sono tutte false e destituite di ogni fondamento e hanno dato la possibilità agli sciacalli di poter diffondere un articolo di giornale pubblicato senza l’accertamento della verità. In tale contesto oltre che stigmatizzare il fine dell’articolo e dipingere lo scrivente addirittura come un latitante, si voluto offendere la dignità del candidato sindaco e dei cittadini di Trebisacce,oltre tutti i candidati”.
Da quanto emerge, tra i vari errori ortografici e di battitura, ci sono alcuni punti che mi preme chiarire. L’articolo viene tacciato di falso, in quanti si parla di “reati allo stato inesistenti“. Su questo punto, prendendo in esame anche la documentazione di cui si dispone, è facile dedurre che l’allora sindaco di Trebisacce, “candidato alle elezioni regionali nella lista circoscrizionale di Candidari “Io Resto in Calabria” (…) personalmente ed avvalendosi della collaborazione di soggetti, inconsapevoli, fra i quali dipendenti del Comune nonché persone a lui legate da rapporti politici, familiari ed amicali, faceva sottoscrivere la dichiarazione di presentazione della Lista senza la presenza del pubblico ufficiale autenticante e al di fuori delle sedi comunali”.
Una frase, da me riportata stringatamente nel precedente articolo tra virgolette – come si fa per una dichiarazione – che è la stessa che campeggia su innumerevoli testate giornalistiche. Così come, facendo fede a diversi articoli terzi, pubblicati lo scorso 15 febbraio 2024, si faceva riferimento al rinvio a giudizio. Nulla di nuovo pertanto, solo frasi che, ad oggi, in un contesto particolare, sembrano risuonare più del dovuto.
Che non ci siano reati acclarati sarà forse anche vero, tanto che nel nostro articolo non abbiamo mai scritto che il candidato a Sindaco è un condannato o un colpevole: lo decideranno i giudici. Ma il rinvio a giudizio c’è.
Sul punto in cui si fa riferimento, invece, alla moglie del suddetto in giro a chiedere voti, posso dire di avere avuto il piacere (?) di sperimentarlo di persona quando, durante una domenica in giro per il famoso mercato mensile del paese, uno dei miei familiari è stato fermato con il pretesto di un saluto e, vedendo la faccia incerta del mio congiunto, ha spiegato chi fosse e ha incalzato dicendo che il marito era candidato alla Regione. Una cosa che si fa, nei paesini in cui tutti si conoscono, di cui mi stupisco del “polverone” che viene alzato. Anche perché le testimonianze in paese sono davvero numerose. Un po’ a tutti è capitato. Tutti lo sanno. Ma continuiamo.
Sulla presunta “latitanza” di cui parlo nel mio articolo, ahimè capisco che non a tutti possa arrivare la mia nota ironica; se si legge bene, infatti, si può notare l’evidente contesto in cui la parola viene riportata: “E no, non si tratta di quelle accuse che poi lasciano il tempo che trovano: Mundo è andato ai domiciliari (ecco perché la latitanza)…”. Credo sia chiaro che l’articolo non si riferisca a una sua presunta fuga in qualche Paese remoto del globo.
Sul punto in cui, invece, l’avvocato scrive che “si voluto offendere la dignità del candidato sindaco e dei cittadini di Trebisacce,oltre tutti i candidati”, ci tengo a dire che il pezzo non ha toccato, in nessuno modo, gli altri candidati, liberi di scegliere cosa fare della loro vita, così come libera dovrei essere io.
Riporto, inoltre, una parte della lettera in cui si evidenzia che “hanno dato la possibilità agli sciacalli di poter diffondere un articolo di giornale pubblicato senza l’accertamento della verità”. Per fortuna, sulla base del principio di libertà, non possiedo alcuna autorità su ciò che fanno altre persone: se la gente ha voluto condividere un mio articolo, di sicuro lo hanno fatto autonomamente, con una loro testa pensante, sicuramente non con la mia.
Infine, mi preme riportare l’ultima parte della lettera ricevuta dove, per aver usato quell’arma potente che è la penna, vengo minacciata che verrò denunciata. Si legge infatti, che – e riporto testualmente -: “comunico altresì che si procedere anche a sporgere formale denuncia querela nei confronti dell’autore con riserva di ogni altro diritto”.
Potrei scrivere fiumi di parole su come una persona, tra l’altro del suo stesso paese, venga “bacchettata”, anzi minacciata di denuncia querela, perché ha espresso un suo pensiero, in nome di quella libertà di stampa di cui tutti, ai tempi d’oggi, si riempiono la bocca ma che, nei fatti, si cerca di ostacolare in ogni modo. Quella stessa libertà che avrebbe permesso al candidato in questione di poterci dire la sua. Non gli abbiamo negato il diritto di replica, avrebbe potuto spiegarci la sua posizione e le sue ragioni mediante un confronto. Noi, a tal proposito, siamo sempre disponibili.
Quanto scritto non è “infondato” perché lo sanno tutti, non solo ai piani alti, quello che è accaduto. L’unica cosa “infondata” è la richiesta di rettifica dell’avvocato e soprattutto la minaccia di denuncia, che non avrebbe alcuna base legale. Ma il mio pezzo è diventato “scomodo” perché, a ridosso delle elezioni amministrative, non ho bisbigliato sommessamente il mio pensiero al compaesano ma l’ho riportato nero su bianco su un giornale.
A tal proposito, parlando appunto di testata giornalistica, mi preme ricordare che “in tema di diffamazione a mezzo della stampa, il canone della verità si atteggia diversamente in ipotesi di esercizio del diritto di cronaca, per il quale è richiesta la continenza dei fatti narrati, tanto in senso formale quanto in senso sostanziale, e nel caso di esercizio del diritto di critica, il quale non si concretizza nella mera narrazione dei fatti, ma nell’espressione di un giudizio (necessariamente soggettivo) rispetto ai fatti stessi; perciò, non può pretendersi che l’opinione sia assolutamente obiettiva, potendo essere la stessa esternata anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente“.
Colorito e pungente dunque, come la penna che utilizzo – e utilizzerò ancora – per scrivere, sempre.