Falcomatà, i bombardamenti del 1943 a Santa Caterina e la “Guernica di Reggio Calabria”

Reggio Calabria, il pensiero del Sindaco in merito al monumento che ricorda le vittime dei bombardamenti del '43 a Santa Caterina

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Due giorni fa, domenica, si è tenuta a Reggio Calabria la cerimonia di inaugurazione del monumento dedicato alle vittime dei bombardamenti del 6 maggio 1943 nel rione Santa Caterina. L’opera, una stele con i nomi delle persone morte allora, è stata realizzata dall’artista Paolo Raffa con il contributo del Comune reggino ed è stata fortemente voluta dall’associazione Noi per Santa Caterina, presieduta da Giuseppe Serranò. All’iniziativa, oltre alle Istituzioni, hanno preso parte anche le autorità civili, militari, ecclesiastiche ed i parenti delle vittime del terribile bombardamento.

Il pensiero del Sindaco

Oggi, 7 maggio, con un post sui social il Sindaco Falcomatà ha voluto dare un nome significativa all’opera: “La Guernica di Reggio Calabria”, in riferimento alla originale Guernica di Picasso. “Quella di domenica – scrive il primo cittadino – è stata una giornata storica per la nostra città. Una città che, con il bombardamento del 6 maggio del 1943, ha pagato il prezzo più alto, fra tutte le città calabresi, per l’alleanza del nostro Paese con la Germania nazista di Hitler. Quel bombardamento fu l’alba di un percorso molto tortuoso, sanguinario, che ci portò alla liberazione dal regime nazifascista. Fu l’alba di tutta una serie di altre tragedie che abbiamo il dovere di ricordare: penso alla Fosse Ardeatine, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, soltanto per ricordarne qualcuna”.

“Quest’opera, realizzata dal maestro Paolo Raffa e promossa dall’Associazione “Noi per Santa Caterina” del presidente Serranò che ringrazio, è la nostra Guernica. E così come il nome dell’opera di Pablo Picasso ricorda il bombardamento della città di Guernica, ho suggerito di chiamarla “Reggio Calabria”, si legge ancora. “È un’opera sulla quale sono impressi i nomi di 58 vittime di Santa Caterina, le vittime del quartiere, ma che ci richiama alla memoria i nomi di tutti coloro che hanno perso la vita, di chi ha pagato il prezzo di quella guerra. Grazie a quest’opera noi, questi nomi, ce li avremo scolpiti anche nel cuore. Per sempre”.

I moniti per il futuro e l’unità d’intenti

Dai ricordi del passato ai moniti per il futuro. Falcomatà continua a insistere sull’unità di intenti di una città divisa quasi sempre e in ogni situazione. “C’è una frase del nostro inno nazionale, meno “cantata” e forse meno conosciuta ma è quella che a me colpisce di più e dice questo: “Noi siamo da sempre calpesti e derisi perché non siam popolo, perché siam divisi”. In questa frase, molto breve, c’è scritta la ricetta per il nostro futuro. Ovvero, la necessità di trovare unità d’intenti, di vedute, di politiche per lo sviluppo di un Paese e di un territorio. Ma, soprattutto, la necessità di essere popolo”, le parole del Sindaco.

“E non si diventa popolo dall’oggi al domani, non è qualcosa di meccanico. Si diventa popolo perché si condivide una storia in comune, una storia di valori, una storia di momenti intorno ai quali una comunità, un paese, una città ritrova la sua identità. Questo è un monumento identitario”.

“Essere popolo e fare memoria sono due cose che stanno insieme. Perché un popolo senza memoria è un popolo senza storia. E un popolo senza storia è un albero senza radici, quindi destinato a morire. Celebriamo il ricordo delle vittime, onoriamo il loro sacrificio, facciamo memoria di quanto successo. Ma questo monumento è, soprattutto, un monito per il futuro. Per quelle genti che passeranno, che ricorderanno questa tragedia e quanto sia importante difendere i valori della libertà e della democrazia perché non sono valori assoluti e vanno sempre protetti. Quotidianamente”.

Infine l’annuncio: “Abbiamo pensato, come amministrazione comunale, di istituzionalizzare la giornata del 6 maggio in ricordo di tutte le vittime di quei bombardamenti. Mi sembra giusto, mi sembra doveroso, mi sembra un “mattoncino” forte sul quale continuare a ricostruire la nostra storia in comune”, conclude Falcomatà.

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