Falcomatà vuole trasformare la Reggina in un soviet: perchè il marchio al Comune sarebbe la mazzata finale

Il Comune di Reggio Calabria parteciperà all'asta per acquistare il marchio storico della Reggina: la Giunta ha deliberato l'impegno finanziario di almeno 100 mila euro, soldi dei cittadini dilapidati in un'effimera icona

StrettoWeb

Se Brunetti lo scorso settembre ha iniziato a fare danni irrimediabili, adesso Falcomatà sta completando l’opera. Oggi staremmo raccontando un’altra storia per la Reggina se solo nove mesi fa il Sindaco facente funzioni avesse scelto banalmente il candidato di gran lunga migliore tra coloro che si erano proposti alla manifestazione d’interesse per rilevare il titolo sportivo in sovrannumero in serie D assegnato dalla FIGC alla città di Reggio Calabria dopo l’esclusione della “vecchiaReggina. Con ogni probabilità, la cordata di Bandecchi, Myenergy e gli altri imprenditori reggini avrebbe guidato la corazzata che Belardi aveva già allestito con mister Pazienza e due attaccanti del livello di Montalto e Sarao (tutti già bloccati), a dominare un campionato ridicolo, dal livello medio di Promozione, battendo il Trapani nello scontro diretto sia all’andata che al ritorno e proponendosi alla prossima serie C con il ruolo di favorita.

Ma Brunetti ha preferito a questo scenario l’improbabile circo di catanesi e messinesi, Ballerino, Pellegrino, Bonanno, supportati in città dal parente del consigliere comunale del suo stesso partito: avevano promesso di vincere il campionato con 10 mila spettatori a partita in un business plan in cui farneticavano di scuola calcio, addirittura squadra femminile, e sottolineavano l’impegno per valorizzare il Centro Sportivo Sant’Agata e lo stadio Granillo. L’Amministrazione guidata da Brunetti aveva promesso a sua volta una vigilanza così ferrea sul rispetto di quel business plan al punto da inserire nel club un “osservatore” dell’ente. Nulla di tutto questo è stato rispettato, nè da parte della Fenice Amaranto (che in classifica è arrivata a -32 dal Trapani, le ha prese addirittura da Sant’Agata di Militello e Real Casalnuovo vincenti al Granillo, non è riuscita a battere nè all’andata nè al ritorno persino il San Luca!) nè tantomeno da parte dell’Amministrazione comunale. Anzi. Brunetti, che nella vita è finanziere, non è stato in grado di vigilare neanche sui contratti di lavoro dei dipendenti della società e sulla regolarità dei relativi pagamenti.

Brunetti, per giustificare tale mediocrità, aveva detto “meglio dieci anni di serie D ma fatti con dignità“. Ed è pacifico che con questa società non ci potrà mai essere nulla di diverso dal dilettantismo. Ma se sui dieci anni di D siamo sulla buona strada, non riusciamo a capire cosa ci possa essere di dignitoso in questo club che continua ad utilizzare alibi e scuse per giustificare tutti i propri fallimenti. Nel corso di questa stagione sciagurata, i massimi dirigenti della Fenice sono arrivati a lamentarsi delle condizioni del terreno di gioco altrui o addirittura delle tattiche delle squadre avversarie colpevoli di “lanciare il pallone in tribuna“. E così la Fenice Amaranto si farà almeno un altro anno di serie D, sconfitta tra l’altro nella finale degli inutili playoff da un gol proprio di quel Sarao che a inizio settembre Belardi aveva convinto a venire a Reggio per fare coppia con Montalto in quella che doveva essere la nuova Reggina. Seria e ambiziosa. Costruita da chi l’ha sempre amata e ha la consapevolezza di cosa significa.

Tra l’altro, come effetto collaterale, Bandecchi non si sarebbe arrabbiato al punto da volersi vendicare, quindi oggi Massimo Ripepi non sarebbe il suo agguerrito candidato Sindaco e anche gli assetti politici della città sarebbero diversi.

Ma quello che è successo fino ad oggi è ormai assodato. Adesso che la stagione è finita, si dovrebbe pensare al futuro. E i temi sono al momento tutti fuori dal campo: chi continuerà a fare calcio a Reggio Calabria? La Fenice Amaranto diventerà davvero la Reggina? Ci sarà un’altra proprietà più forte e migliore che si farà strada per rilanciare la squadra, o saremo costretti ad un’altra stagione come quella appena conclusa? Chi avrà la concessione per il Centro Sportivo Sant’Agata? Chi rileverà il marchio dal Tribunale fallimentare? Le prossime settimane serviranno per rispondere a tutte queste domande. E in uno scenario già di per sè deprimente, il Sindaco Giuseppe Falcomatà ha deciso di tornare alla ribalta per diventare il protagonista assoluto della vicenda. Per completare l’opera iniziata da Brunetti lo scorso settembre, appunto. Per trasformare quei “dieci anni di serie D” nella mazzata finale per il calcio a Reggio Calabria, lui che già nel 2015 aveva respinto Nick Scali con quel “non vogliamo nuovi Manenti” e poi non aveva avvisato Lillo Foti della telefonata notturna di Tavecchio la sera prima dello svincolo dei calciatori. Un bel curriculum da vero grande cuore amaranto.

L’Amministrazione Comunale vuole acquistare il marchio: perchè sarebbe la fine del calcio a Reggio

In una diretta social dai toni farneticanti, dal manto erboso del Granillo, il Sindaco Falcomatà ha annunciato ieri sera la delibera di Giunta che autorizza l’Amministrazione Comunale a partecipare all’asta per il marchio. Bypassando per il momento il tema di contabilità e correttezza dell’operazione (Falcomatà ha nominato tutti i tecnici e i dirigenti che hanno assunto la responsabilità di un passaggio così delicato), rimane la scelta politica di utilizzare almeno 100 mila euro di soldi pubblici, cioè di tutti i reggini, per acquistare un’effimera icona di una società calcistica privata. “La Reggina è un bene inacquistabile“, ha detto Falcomatà poche ore dopo che il suo amico e compagno di partito Antonio Decaro, nella qualità di Sindaco di Bari chiedeva con durezza alla famiglia De Laurentiis di “vendere il Bari” a terzi. Saranno anche dello stesso partito, Decaro e Falcomatà, ma evidentemente hanno una visione del calcio completamente diversa: a Bari il Sindaco auspica una proprietà migliore dei De Laurentiis, a Reggio invece il primo cittadino auspica che nessuno prenda la Reggina in quanto “inacquistabile“.

In un delirio degno dell’aberrazione del marxismo-leninismo, Falcomatà ha detto che la Regginanon può e non deve appartenere a nessuno” perchè “è di tutti“, facendo il paragone del Comune che però è un ente pubblico a differenza di un club calcistico che è a tutti gli effetti un’azienda privata. E può esistere e funzionare solo come azienda privata. Quando la Reggina di Saladini era sull’orlo del baratro, l’estate scorsa, Brunetti in persona diceva in consiglio comunale che si trattava di un’azienda privata in cui “la politica non può intromettersi“. Evidentemente adesso i nostri eroi hanno cambiato idea, e hanno deciso di intromettersi eccome. Al punto che Falcomatà annuncia la partecipazione del Comune all’asta per il bando perchè “va messo in sicurezza, dato alla città, e l’unico modo per farlo è darlo al Comune, all’Amministrazione Comunale“. Cioè a se stesso.

Secondo Falcomatà in questo modo si eviteranno “vicende che negli ultimi anni ci hanno portato in serie D“, ma non si capisce come farà il Comune che avrà la proprietà del marchio ad evitare errori di cattiva gestione, o fallimenti economici della società, soltanto detenendo la proprietà del marchio. Boh. Mistero. La verità è che falliranno lo stesso anche senza la proprietà del marchio, così come sono falliti quelli di prima che non avevano la proprietà di Granillo e Sant’Agata sempre stati di Comune e Città Metropolitana. E’ servito a evitare i vari fallimenti? Affatto. E che cambierà con il marchio? Ovviamente nulla.

Ma c’è di più. Lo vuole così tanto questo marchio Falcomatà, che nella sua diretta ha persino invitato gli altri privati interessati a non ostacolare il Comune e “comprendere che il marchio al Comune sarebbe nell’interesse di tutti“. In una predica di svariati minuti, il Sindaco ha illustrato le sue ragioni per cui anche i privati non dovrebbero intervenire all’asta perchè dovrebbero essere lieti del marchio al Comune. A tal proposito giova precisare che fino ad oggi l’unica domanda pervenuta è stata quella di Bandecchi. Adesso c’è anche il Comune. La Fenice Amaranto non ha ancora annunciato la partecipazione: a pensar male si fa peccato? Ma spesso ci si azzecca! E se alla fine la Fenice Amaranto non farà la domanda, o si presenterà con un’offerta simbolica, non ci vuole il Genio della Lampada per capire il senso dell’operazione di Falcomatà: starebbe forse aiutando Ballarino con soldi pubblici? Saremo maligni, ma in ogni caso se è la verità o una congettura lo scopriremo presto. Certo che se poi Falcomatà concedesse il marchio acquisito con i soldi di tutti noi proprio alla Fenice di Ballarino… 

Il vero danno di un’operazione assurda

Quello che in molti non hanno ancora capito, è che l’unico risultato di quest’operazione sarà quello di allontanare ulteriormente da Reggio Calabria nuovi eventuali investitori. Mentre Falcomatà nel 2024 rilancia teorie sovietiche esaltando i fantomatici benefici della proprietà pubblica di beni privati, andando addirittura a rilevare con soldi pubblici un bene privato all’asta fallimentare per giunta totalmente effimero (ma di questo parleremo in chiusura), tutto il resto del mondo va in un’altra direzione. Le società di calcio sono aziende private che giustamente pretendono la proprietà di tutti gli asset, persino delle strutture. Il trend ormai consolidato anche in Italia da più di un decennio è quello di stadi e centri sportivi di proprietà, figuriamoci il marchio. Non c’è un solo precedente che possa rappresentare un modello per l’idea comunista di Falcomatà, mentre al contrario sono numerosi i modelli virtuosi di club che hanno basato i loro successi proprio sulla propietà delle strutture in precedenza comunali: su tutti la Juventus, ma anche l’Atalanta, l’Udinese, il Sassuolo, il Frosinone, la Fiorentina, la Cremonese. E se andiamo all’estero gli esempi si moltiplicano in modo esponenziale.

E così mentre il mondo del calcio va verso stadi e centri sportivi di proprietà come base di grandi successi, a Reggio Calabria torniamo indietro e anziché mettere eventuali investitori nelle condizioni di avere anche a Reggio lo stadio e il centro sportivo di proprietà, gli togliamo persino la possibilità di avere il marchio che rappresenta la società. Che genialata! Certamente da domani ci sarà la fila di imprenditori interessati ad acquisire la Reggina, svuotata in sostanza di tutto…

Il marchio: un simbolo totalmente effimero. Cosa ne farà davvero Falcomatà?

Sull’effimerità del marchio abbiamo già scritto più volte su StrettoWeb. A che serve quel simbolo se non lo si affianca di sostanza? Vogliamo una Reggina che torni in serie A, rappresenti una grande vetrina positiva per la città, generi indotto, faccia lavorare centinaia di persone e formi grandi professionalità, oppure ci preoccupiamo di forma e apparenza? Il marchio tanto ambito è semplicemente il simbolo ideato dal grafico della Reggina di Lillo Foti negli anni ’90. Mai Lillo Foti e gli altri imprenditori reggini che rilevarono il club dal fallimento del 1986 si posero il problema di utilizzare il marchio precedente, che infatti è poi finito nel dimenticatoio. Dove dobbiamo firmare per una Reggina che torna grande con un altro logo, un altro marchio, completamente nuovo e diverso da quello che è all’asta in questi giorni? C’è qualcuno, solo uno, a partire dai capi ultras, che preferirebbe rimanere in serie D con il marchio “storico” anziché andare in serie A con uno tutto nuovo? Alzi la mano.

Oltre a quello di Foti, che poi ha fatto la storia non certo per la bellezza in sé del disegnino ma perchè con quel simbolo la Reggina ha fatto 9 anni di serie A, c’è anche un altro esempio più recente: anche con Mimmo Praticò la Reggina ha utilizzato per anni un altro marchio (vedi foto sotto) che non c’entrava nulla con quello dei 30 anni precedenti, i migliori della storia del club, e non ci risulta che alcuno si sia scandalizzato. Anzi, a qualcuno piaceva pure. Più che altro, il problema era quello che succedeva dentro e fuori dal campo in termini di risultati sportivi e gestione societaria.

Il marchio utilizzato dalla Reggina guidata da Mimmo Praticò (2016-2018)
Il marchio storico della Reggina di Lillo Foti ideato negli anni ’90
Il marchio storico della Reggina riacquistato da Gallo nel 2018 e adesso all’asta fallimentare

Altri marchi storici precedenti della Reggina:

Falcomatà ha detto che il marchio “è un bene immateriale, acquisendolo al patrimonio indisponibile del Comune lo mettiamo in sicurezza“. Che significa “indisponibile“? E che significa “immateriale“? Il marchio ha un senso soltanto per il marketing: mettendolo sulle magliette, sulle tute, sulle penne e sui portamonete, si può fare business. Un business necessario a sostenere la società, diffonderne il brand, avere entrate utili a sostenerne le spese. “E’ come se fosse un quadro di inestimabile valore, un’opera d’arte, di cui prendersi cura” ha concluso Falcomatà. Che quindi vede il marchio come una vignetta da incorniciare in una teca a Palazzo San Giorgio e pulire col vetril spray ogni mattina. E intanto sta dando la mazzata finale alla possibilità di rinascita del calcio reggino.

A meno che non arrivasse qualcuno così forte e intelligente da fregarsene altissimamente del Sindaco, del marchio storico e di tutte queste cazzate occupandosi dell’unica cosa che conta davvero: allestire una squadra che tra tre mesi possa essere pronta a dominare il prossimo campionato di serie D con una struttura tale da presentarsi nella stagione successiva in serie C con ambizioni di ulteriore promozione, dimostrandosi in questo modo all’altezza della Reggina.

E’ questa l’unica cosa che importa. Il resto solo chiacchiere da bar. Distrazioni di massa per un popolino così depresso e mediocre che in qualche modo accetterà anche un’altra stagione di umiliazioni in quarta serie.

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