Tra le voci che maggiormente hanno caratterizzato nel tempo l’export italiano la criminalità è certo una che ha saputo distinguersi per una sua indubbia dovizia e peculiarità, tanto che accanto alla parola “pizza” “mafia” è quella che maggiormente sembra associarsi all’estero all’immagine del Bel Paese. Ma la criminalità nata tra Otto e Novecento era figlia di una determinata situazione sociale. Come riconobbe amaramente Nitti al cafone meridionale spesso non era riconosciuta altra strada tra emigrante o brigante o, aggiungiamo noi, entrambe le cose. Detto in altro modo, quelle orde che a cavallo dei due secoli venivano sbarcate a Ellis Island erano composte da poveri disgraziati a cui la vita non aveva concesso nulla e per cui l’attività criminale spesso più che una scelta era qualcosa che somigliava molto a una necessità. Ma poi l’Italia del dopoguerra s’è scoperta improvvisamente ricca, s’è rassettata, e sono terminati i migranti con la valigia di cartone e i minatori con le vedove bianche. Ma questo non ha fatto cessare il vecchio costume nazionale: lo ha solo elevato di livello. È nato il criminale ideologico. Un criminale che va a scuola, che scrive, che porta avanti una teoria politica. Da Al Capone a Toni Negri l’evolversi dell’immagine del criminale da esportazione mostra il grande passo in avanti compiuto a livello economico e culturale dal paese nell’ultimo secolo.
A dispetto della crescita sociale e culturale l’Italia sia rimasta sempre legata a una cultura delinquenziale
Il fatto che a dispetto della crescita sociale e culturale l’Italia sia rimasta sempre legata a una cultura delinquenziale mostra un legame profondo tra questo paese e una visione antilegalitaria. Al di là di analisi sociali più profonde, manca in questo paese una concezione alta dello Stato, ma tutto si riduce a una visione anarchica che qui vuole dire semplicemente insofferenza alle regole. Gli italiani cercano sempre il modo di ingannare lo Stato ma sono sempre pronti ad accusarlo se le cose vanno male, e sono sempre disposti a parlarne male anche se non saprebbero farne a meno. Perché in realtà questo disprezzo ancestrale verso lo Stato, visto come un potere imposto e organizzato, anche se in fondo è uno Stato sgangheratissimo e sbrindellato, non saprebbe andare oltre l’imprecazione, e il primo odore di dittatura li rimetterebbe genuflessi, pur con la consapevolezza dell’inutilità del gesto. Lo Stato in Italia non esiste semplicemente perché, osservava Prezzolini, in questo paese le cose di tutti sono cose di nessuno.
Ecco da dove nasce l’amore per il criminale
E forse, quindi, questo amore per il criminale nasce proprio da questo. Da una invidiosa ammirazione per ogni uomo che lo Stato lo affronta veramente, oltre ciò che ognuno, in fondo, ha sempre desiderato ma non ha mai osato fare. In fondo i grandi malavitosi non sono quelli che hanno saputo vivere pericolosamente rischiando in prima persona fuori da vite noiose? E nell’immaginario collettivo le loro vite non appaiono quelle di pericolosi delinquenti, ma quelle di gente che sa farsi rispettare e sa vivere avventurosamente rispetto alla mediocrità degli impiegati che tornano a casa da mogli depresse e figli annoiati.
La legislazione italiana è stata sempre per questi criminali all’acqua di rose
Forse è per questo, ci viene da chiederci, che la legislazione italiana è stata sempre per questi criminali all’acqua di rose. Non rappresentano il problema dello Stato, ma un’alternativa sempre pronta a essere difesa da tutta una schiera del mondo intellettuale e politico. Da punire, certo, ma in cui un po’ tutti riconoscono un senso di nostalgia per ciò che non si è avuto il coraggio di essere. E quindi non con mano troppo dura: in fondo non rappresentano una parte di noi stessi? C’è sempre un afrore salgariano quando la stampa ha narrato quelle che in fondo sono solo vite sbagliate, dal Bel Renè alle fughe avventurose di Graziano Mesina. Rossana Rossanda, con una sincerità che le provocò qualche problema, scrisse a suo tempo delle Brigate Rosse che appartenevano all’Album di Famiglia. Ma lo stesso si può dire di tantissimi altri. E forse solo così si possono spiegare il clamore e l’apprensione che accompagnano le vicende di ogni criminale che viene scarcerato o estradato e i riflettori che gli vengono puntati addosso come fossero i protagonisti di una parte importante della cultura del paese.
Quelli che vanno a far danni all’estero sono certo i più ingenui
Tra tutti, quelli che vanno a far danni all’estero sono certo i più ingenui. Quelli che hanno confuso quello che è solo un contesto culturale malato con una situazione universale. Se infatti mafiosi e camorristi vari erano gente cresciuta in mezzo al puzzo della strada ed educata in mezzo a schiaffi e pedate e quindi accettavano anche i rischi del mestiere, in genere i moderni delinquenti sono figli di una borghesia cresciuta davanti a una biblioteca e a un televisore e hanno una visione molto astratta della giustizia e credono che sia un po’ dappertutto quella italica dove anche se fai una strage te la cavi con un buffetto e poi ti lamenti anche se il letto del carcere è scomodo. Poi, quando vanno a delinquere negli Stati più seri, scoprono che lì a spacciare droga, a picchiare gente o, peggio ancora, ad ammazzarla, c’è il rischio che in carcere ci finisci davvero, e se lì il televisore non funziona non gliene frega niente a nessuno. Così bisogna andare a recuperarli e mostrare tutta la solidarietà di una nazione orgogliosa: criminali sì, ma italiani. E allora ecco che il mondo politico nazionale va in fibrillazione per farli rientrare per tanta cattiveria. Da Silvia Baraldini, a Ilaria Salis (la cui colpevolezza, chiariamolo bene, è ancora sub iudicio). Ed ecco infine Chico Forti, un omicida che visto che poteva vantare un paio di decenni di detenzione ha potuto godere ad accoglierlo al rientro i vertici del Governo. Ma, per l’appunto, se non si fosse in Italia, certe cose all’estero non si potrebbero capire. È un criminale, ma è roba nostra, più di tanti scienziati, letterati e artisti di cui a un paese semianalfabeta non gliene è mai fregato niente. Anzi, per l’appunto la politica ha finalmente trovato il modo di riempire quel vuoto causato da questa fuga di cervelli facendo tornare dall’estero e mantenendo qualcuno più consono alla cultura nazionale: un delinquente.