Il grande partito ‘reazionario’ della Schlein e il muro di corpi

Abbiamo sentito la massima esponente del PD sbraitare una feroce minaccia a proposito della riforma costituzionale del ‘premierato'

StrettoWeb

Al momento stesso della vittoria della coalizione di destra nelle elezioni del settembre 2022, fu facile prevedere che, contro il nuovo governo, sarebbe stato rimesso in piedi un assedio asfissiante con ‘girotondi’, adunate oceaniche e colpi di ariete portati nelle piazze e, soprattutto, sui vari colli di Roma. Al giorno d’oggi, nel nostro paese ci sono grandi partiti tra loro inconciliabili e non disposti a rispettare la decisione degli elettori sulla più fondamentale di tutte le questioni politiche, il diritto della maggioranza, sia pure relativa, a governare. Ho sentito la sfingea Rosy Bindi affermare che, tutto sommato, l’attuale maggioranza al governo rappresenta solo il 27% della popolazione italiana e, pertanto, non è granché legittimata a fare scelte non gradite al PD che, come si sa, rappresenta, se non una percentuale più alta, certo la parte migliore del nostro popolo.

Feroce Minaccia contro il premierato

Ora abbiamo sentito la massima esponente del PD sbraitare una feroce minaccia a proposito della riforma costituzionale del ‘premierato’: “adesso questa riforma costituzionale arriva in aula, è l’occasione di mettere i nostri corpi, le nostre voci a fare muro contro questa riforma sbagliata”.

Non so chi sia il ghost writer di Elly ma, come si suol dire, ‘Dio fa gli uomini (e le donne) e tra di lor si accoppiano’: sapevamo che la Schlein è capace di ogni frivolezza, sicché la nuova Pietro (o Pietra?) Micca ha potuto promettere a cuor leggero questo ‘muro di corpi’ per la barricata contro i ‘premieriatisti’. Non vogliamo dire che il problema delle modifiche costituzionali sia ‘frivolo’ ma ci pare di dover sottolineare come la minaccia di questa barricata di corpi sia del tutto sproporzionata e fuori luogo e denunci un disprezzo assoluto della Costituzione stessa che, appunto, prevede e permette la sua modifica secondo una procedura legittima.

Il principio che ha pervaso la stragrande maggioranza del popolo italiano dopo la caduta del regime fascista è stato senza dubbio quello di stabilire con la Costituzione repubblicana le garanzie della libertà. Ma, anche la Costituzione è un’opera umana. Per quanto bella, buona e ben scritta possa essere, nessuna Costituzione è perfetta: per esempio quella sovietica del 1936 è stata celebrata come un esempio di perfezione e, anche in Italia, qualcuno la prendeva sul serio fino a farne un punto di riferimento nei dibattiti dell’Assemblea costituente: qualche articolo della nostra Costituzione del 1948 risente infatti della sua influenza. Ma tutti sappiamo che – pur elencando minuziosamente diritti, doveri, limitazioni e pur sembrando risplendere delle sette bellezze – quella Costituzione sovietica, nelle mani del PCUS di Stalin (ma poi la stessa cosa si sarebbe potuta dire delle mani di Kruscev, Breznhev, etc) fu trasformata in una Costituzione concentrazionaria e reazionaria: divenne la ‘carta’ dell’arcipelago ‘gulag’ descritto da Solženisyn.

Chissà che fine avrebbe fatto anche la nostra Costituzione se non ci fosse stato il 18 aprile 1948. Ma questa è una domanda alla quale nessuno può rispondere e, quindi, non ci avventureremo su questo terreno.

Noi tutti veneriamo la nostra Costituzione, ciò non significa tuttavia che essa sia ‘intoccabile’

Noi tutti veneriamo la nostra Costituzione, ciò non significa tuttavia che essa sia ‘intoccabile’ e che non abbisogni di quegli aggiustamenti che l’esperienza e il tempo consigliano. Una Costituzione, se troppo difficile da modificare, può cessare nel tempo di essere conforme ai principi sui quali è fondata e non tiene il passo con il cambiamento delle condizioni politiche. O se, d’altra parte, è troppo complicata, può tendere a includere materie che rientrano più propriamente nell’ambito dell’opinione pubblica ordinaria sulle quali, pertanto, le opinioni della maggioranza dovrebbero prevalere; in tal caso la Costituzione verrebbe meno al suo proprio scopo.

Né basta l’antifascismo per giustificare l’opposizione a qualsiasi modifica della Costituzione – si tratti della struttura del governo o delle autonomie regionali o della magistratura – specialmente se a sventolare la ‘camicia insanguinata’ dell’antifascismo sono coloro che non seppero unire l’antifascismo all’anticomunismo e non capirono che la lotta al totalitarismo doveva essere fatta necessariamente sui due fronti.

Una delle obiezioni che la ‘sinistra’ fa alla riforma del sistema di nomina del presidente del consiglio è che limiterebbe i poteri del Presidente della Repubblica nella formazione dell’esecutivo. Ma, a mio avviso, dopo che abbiamo potuto sperimentare l’invenzione del ‘governo del Presidente’, è proprio quello che bisogna fare per chiarire, finalmente, quali siano questi suoi poteri: non possiamo affidarci alla speranza che le scelte di chi presidia il ‘colle più alto’ siano sempre sagge.

Certo, del premierato e di tutte le altre proposte di modifica della Costituzione si può e si deve discutere ma, altrettanto certamente, non se ne può fare occasione per una ‘ordalia’: minacciare l’agitazione permanente, la sommossa, lo scontro fisico, significa essere fuori dalla Costituzione; significa porsi non soltanto come il partito di una conservazione ‘ottusa’ ma anche come il partito ‘reazionario’ in quanto teme che le modifiche possano toccare le proprie posizioni di potere e di rendita.

Ed è un partito che ha una succursale molto attiva in quella parte della magistratura che, nel suo congresso sindacale – svoltosi in ‘pompa magna’ a Palermo e alla presenza del Capo dello Stato – ha minacciato di opporsi con ogni mezzo alla riforma dell’ordine giudiziario. A questo proposito, poiché il Congresso dell’ANM ha solo carattere sindacale e non è un’assemblea della magistratura in quanto ordine autonomo e indipendente, viene da chiedersi perché il Presidente della Repubblica sia intervenuto: forse per avallare la linea politica dell’ANM? o per inaugurare una nuova prassi costituzionale con la sua partecipazione a tutti i congressi sindacali, dei maestri elementari o dei professori universitari, dei conducenti di autobus o dei braccianti agricoli o di qualunque altra ‘corporazione’.

Forse vale la pena ricordare, ancora una volta, che in democrazia maggioranze e minoranze possono coesistere in un solo modo: parlandosi, trattando e, poi, lasciando decidere alla maggioranza la scelta da fare. Nell’immaginario popolare, la trattativa ha qualcosa di negativo ma è in realtà la linfa vitale che può alimentare una opinione pubblica sana. Gran parte del lavoro svolto dagli uomini pubblici (non aggiungo ‘donne’, come certamente farebbe la Schlein, perché si potrebbero offendere) consiste nell’accertare ciò che il popolo, o qualche frazione di esso, vuole o, nello scoprire fino a che punto le idee che essi sostengono siano condivise e siano mature per essere portate alla deliberazione e in che modo possano essere trattate davanti al popolo. Ma, come diceva Sir Henry Maine, gli uomini di stato che, in una democrazia, si sforzano di attuare una propria politica su vasta scala, sono molto pochi e, quindi, non c’è da aspettarsi che molti di essi siano all’altezza del loro compito. Bisogna aggiungere che una delle funzioni dei politici è quella di mediatori e che, in una democrazia, la loro funzione più importante e comune è quella di promuovere la concordia e non la rissa.

Questa funzione dovrebbe essere svolta collettivamente dai partiti politici, il cui successo dipende molto dalla loro capacità di misurare il sentimento pubblico. In un governo popolare saldamente stabilito, la tendenza di un partito ad essere governato da un’ala estrema è di solito contrastata in certa misura dalla tendenza opposta, che dà grande peso agli elementi più imparziali nelle sue fila.

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