Da quando mi sono sposato mi capita di vivere durante l’anno per molti mesi in una campagna ereditata da mia moglie. In un luogo non sfiorato da alcun rumore, da alcun frastuono che ormai imperversano molesti su città e paesi, specie dell’Occidente. Solo silenzio intorno a me. Talvolta, nelle sere d’estate, trasportata dal vento, una musica lontana infrange l’incanto della notte. Una condizione assai fortunata della mia esistenza che mi riporta con la memoria ad anni lontani della fanciullezza. Vivevo all’epoca in un paesino che, arroccato intorno al suo castello medioevale, esprimeva un buon livello di vita. Disponeva di una scuola media, di un ginnasio, di un liceo classico, di due convitti, uno maschile e l’altro femminile.
Era sede arcivescovile. In Calabria all’epoca non erano molti i paesi con queste caratteristiche. In quella piccola comunità una sensazione permanente di quiete s’impadroniva, giorno dopo giorno, della mia vita. Ogni tanto – siamo nel dopoguerra – il rumore di una macchina infrangeva il silenzio della piazza. Rappresentava l’evento del giorno. Erano davvero due o tre le famiglie che in quel tempo possedevano un’autovettura. La società contemporanea, quella sensazione di quiete, l’ha perduta per sempre. Si è assuefatta, senza una rivolta, alla tirannide del rumore. Certe motociclette che accelerano sulla strada con quel forte rombo che si abbatte sui nervi di tante persone inermi o quelle zaffate di musica ad alto volume che alla fermata di un semaforo fuoriescono dall’improvvisa apertura del finestrino della macchina accanto, rappresentano una violenza assai diffusa della nostra quotidianità. Il silenzio, di contro, che oggi svolge un ruolo dimesso, di minoranza, ha svolto in passato una funzione centrale nella vita degli uomini. Si è spesso ritagliato una funzione pedagogica, talvolta autoritaria.
Un mio professore, di fronte ad un evidente strafalcione di uno studente, stava qualche secondo in silenzio, come attonito per la sorpresa che suscitava quella risposta incongrua. Un gesto teatrale che preludeva, dopo qualche istante, ad una dettagliata correzione dell’errore. Il generale De Gaulle, uno dei tanti politici colti del suo tempo, come Churchill, come De Gasperi, disse una volta una frase stentorea “Niente rafforza l’autorità quanto il silenzio”. Difficile dargli torto.
Ancora più stentoreo è il ragionamento di qualche tempo fa di un demografo: “Oggi la popolazione del mondo è composta da circa 8 miliardi di persone. Entro il 2050 aumenterà di circa un miliardo e 800 milioni. Nel mondo l’opzione prevalente sarà il silenzio. Si cercherà un modello di vita a cui specie i giovani del nostro tempo non sono più abituati. Ovunque si vada, in quasi tutti i locali da loro frequentati la musica moderna è la padrona incontrastata. Non solo. Negli ultimi tempi anche in molti ristoranti, frequentati in prevalenza da persone mature, spesso la musica s’intrufola di soppiatto. Non che la musica non abbia un suo fascino. Certo, ma non tutta. Il fatto è che essa ha anche un suo tempo, un suo contesto. “La società ci spinge ad accettare il rumore” – afferma lo storico Alain Corbin – “per essere parte del tutto.”
Eppure il silenzio è stato sempre un prerequisito per ogni opera d’arte. Per la musica, per il racconto, per la poesia. A proposito di poesia, faccio qui un esempio che estrapolo dalla mia memoria di scuola. In una delle più belle poesie di Leopardi “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, il poeta nell’incipit del verso si rivolge direttamente alla luna con una domanda “Che fai tu luna in ciel, dimmi che fai/ silenziosa luna?”. Fra i tanti aggettivi che poteva metterle accanto sceglie “silenziosa”. perché nulla può creare un clima di profonda suggestione quanto il silenzio che avvolge il nostro astro d’argento.
Scendendo sulla terra, un individuo che la sera si accinge a riprendere la lettura di un libro, che fin dalle prime pagine lo ha stregato, si avvale di gesti consueti, irrinunciabili. Prima di affrontare quell’alfabeto simbolico che si gode in solitudine, predispone una meticolosa pulizia degli occhiali, assesta il proprio corpo nella poltrona o posiziona al meglio i cuscini sul letto. Quindi ha bisogno di un elemento indispensabile per costruire l’incantesimo: il silenzio