Sant’Agata sì, poi no, poi di nuovo sì. Non si capisce bene quali siano le intenzioni della Fenice Amaranto sul centro sportivo, la cui manifestazione d’interesse scade il 20 maggio. Ai grandi annunci del business plan ne erano seguiti due di Ballarino abbastanza recenti: nel primo si diceva propenso a chiedere al Comune un pezzo di terreno per un nuovo centro sportivo “tutto nostro”; in un altro metteva la tifoseria alle strette, o il Sant’Agata o la prima squadra. Tutto questo, ovviamente, non ha fatto altro che accendere la già delicata e sottile “tenuta mentale” della piazza, arrabbiata e delusa da questa estate ma anche fortemente scettica verso questa proprietà, così come recitava anche ieri lo striscione sul marchio, al netto della bella presenza a Vibo.
Ma se sul marchio, quantomeno a parole, la Fenice si è mantenuta coerente, affermando spesso che l’obiettivo è l’acquisizione dello stesso, sul Sant’Agata ci sono dichiarazioni contrastanti e contradditorie. Perché a quelle di Ballarino sopracitate, di qualche settimana fa, ci sono ora quelle di Giuseppe Praticò. Ieri, al termine della sfida, il dirigente ha infatti detto a Radio Gamma No Stop che “il 20 parteciperemo alla manifestazione d’interesse per il S. Agata, entro il 28 maggio depositeremo la nostra offerta per il marchio”.
Dunque adesso la Fenice, sempre a parole, e per conto del suo dirigente, ha affermato che ci sarà. Praticò smentisce, o contraddice, Ballarino. A questo punto uno dei due mente, oppure si sta raccontando una delle tante menzogne già propinate alla tifoseria quest’anno. Certo, cambiare idea è legittimo – magari dopo aver tastato il polso dei tifosi, imbufaliti dalle uscite di Ballarino sul Sant’Agata – ma se il problema di costi e gestione è economico, come è possibile che dopo qualche settimana si sia risolto tutto? C’è qualche nuovo ingresso in società?
La narrazione sul ripescaggio e le spese generali
La riflessione nasce alla luce dei numeri, anche perché Praticò – nella stessa intervista – si sbilancia pure sul ripescaggio. Errore, come errore era farlo mesi fa. Illudere la tifoseria come fosse quasi certezza, addirittura dopo aver già vinto la semifinale, perché “sappiamo che fino all’anno scorso la graduatoria relativa ai ripescaggi faceva riferimento sia alle vincenti che alle perdenti la finale dei playoff e sappiamo benissimo che ci sono delle società in forte difficoltà”. Stanti così le condizioni, e quindi con un eventuale sconfitta in finale, dovrebbero fallirne un bel po’.
Se invece si dovesse vincere la finale, ci sarebbe un balzo importante in graduatoria, anche se molto dipende pure dalle vincenti degli altri gironi. E, seppur in difficoltà, non ci risultano tutte queste società prossime al fallimento o con la non iscrizione certa. Due, Alessandria e Brindisi, sono retrocesse sul campo in Serie D. Altre, tra B e C, hanno tutto il tempo per trovare la svolta societaria. Insomma, ci sarà da attendere, eventualmente giugno, dopo la scadenza per le iscrizioni.
Ma non c’è solo questo. Per avere possibilità di ripescaggio è necessario versare un contributo a fondo perduto di 300 mila euro e una serie di garanzie fideiussorie. Che si vanno ad aggiungere alla spesa per l’offerta del marchio (100 mila euro di base di partenza) e del Sant’Agata. E poi l’iscrizione e la costruzione della rosa. Insomma, una somma decisamente importante per una proprietà che fino a qualche giorno fa diceva: o il Sant’Agata o la prima squadra. Ora è stato ribaltato tutto?