La Fenice Amaranto ieri ha vinto meritatamente a Vibo, sbancando il “Razza” per 0-1 con una rete di Barillà. Questo significa finale playoff a Siracusa. Nonostante la miglior partita stagionale, seppur nel contesto di una gara che potrebbe significare poco, alcune dichiarazioni continuano a cozzare con altre, oltre che con comportamenti recenti del tutto opposti. Il riferimento è anche alla politica reggina e alle ultime giravolte di Falcomatà, che non è contento della Fenice però va a consegnargli la targa al Sant’Agata.
L’ultima novità di questi giorni è quella del marchio, alla luce della pubblicazione del documento di vendita che si concluderà con l’asta del 29 maggio. Oltre alla Fenice (dichiarata) e a Bandecchi (offerta presentata con tanto di screen pubblico), alla corsa vorrebbe concorrere anche il Comune di Reggio Calabria. Il Sindaco ha detto che si può, così gli è stato riferito. E vorrebbe anche una corsia preferenziale. Come? Non si sa. Se lo vuole a nome del Comune, i soldi utilizzati saranno quelli pubblici. E come lo spiegherà ai cittadini (e ai giudici della Corte dei Conti)?
Detto ciò, sulla querelle è intervenuto il Vice Sindaco metropolitano Versace, che ha parlato a Radio Febea. In merito al suo intervento ci sarebbero da precisare alcune contraddizioni. “I tifosi – ha detto – hanno chiesto il marchio alla città e alle Istituzioni. Il loro appello lo prendo come un grido anche per noi. Non si può più scherzare, non ci sono alibi. Ognuno nel suo ruolo deve fare il massimo rispetto alle proprie possibilità istituzionali e societarie/economiche per portare a casa storia e identità. Non dobbiamo provare a vincere questa partita, ma vincerla”. Innanzitutto, i tifosi non hanno chiesto il marchio alla città e alla politica, ma lo hanno chiesto a chi è intenzionato a far calcio a Reggio Calabria.
La nuova narrazione
Ma sappiamo che tutto questo nasce anche alla luce della nuova narrazione: si vuole ormai far capire alla città che il marchio deve essere del Comune, senza se e senza ma, seppur non si sappia come. Così non manca l’occasione per punzecchiare quelli che già in passato sono stati definiti “disturbatori” dalla stessa Fenice: uno su tutti, Stefano Bandecchi, che a differenza delle parole di tanti si è mosso in maniera concreta con un’offerta. Ma, ancora una volta, pare che questa cosa non sia piaciuta alla politica locale, che ha già rifilato due schiaffi al Sindaco di Terni (quello del bando estivo e il rifiuto allo sponsor).
“Noi, per la storia che abbiamo, non ci possiamo permettere giochetti. Ci vuole buon senso. Auspico che ce l’abbiano tutti gli attori che si lasciano andare a dichiarazioni che vanno oltre il sentimento vissuto nella partita di Vibo. Forse c’era qualcuno che sperava che il playoff lo perdessimo. Il marchio deve finire nelle mani giuste, che è la città. Nessuno deve permettersi di alterare regole che appartengono a storia, identità e tradizione che appartiene a noi reggini”. Così ha aggiunto Versace. Di quali giochetti parla? Quello di Bandecchi viene definito un giochetto? Cosa c’è di errato nel presentare un’offerta aperta a tutti, tra l’altro con l’intenzione di affidarlo alla città? Versace non vuole i giochetti, però dice che il marchio deve restare in città. Ma che significa? Si portano il marchio al Nord Italia? In Cina? In India?
Il calcio italiano è pieno di proprietà straniere
Che il marchio resti a Reggio Calabria è scontato, figurativamente. Che non sia a Reggio da tempo, poi, è scontato pure. Oggi il maggiore azionista è un catanese. Che concorre con un livornese. E prima ancora c’erano un lametino e poi un romano. Il marchio negli ultimi anni non è mai stato in città e così continuerà ad essere, anche in caso di terza opzione. A meno che Versace non sappia qualcosa che a noi sfugge, tipo il marchio a tanti imprenditori reggini. Sicuramente, quei giochetti di cui parla, sono frutto dell’intenzione di un personaggio che nella sua cordata estiva aveva al suo fianco molti più reggini di quanti non ce ne siano ora nell’attuale società.
A parte questo, però, sembra che la politica reggina viva su un altro mondo. Come si può dare per scontato che il marchio non esca dalla città quando ormai il mondo del calcio è arricchito dalle proprietà straniere? Quindi Milan e Inter hanno sbagliato tutto? E la Fiorentina con un calabro-americano? E poi la Roma, le neo promosse Parma e Como, il Bologna di Saputo? E potremmo continuare all’infinito. Il marchio di tutte queste squadre “non è in città”, per dirla alla Versace, ma è nelle mani di stranieri. Ricchi, facoltosi e capaci. Che però la politica non ostacola e a cui non ha mai rifilato schiaffi. Anzi. Sono loro ad aver investito in quelle città, non il marchio ad essere andato via.
Infine, sempre Versace, “risucchia” tutto il suo argomento con una precisazione. “Mi sono tirato fuori da questa querelle di dichiarazioni fino a che non tornerà il marchio in città. Dobbiamo sperare che chi oggi sta guidando la squadra possa essere messo nelle condizioni di riscattare la nostra storia e identità. Poi la programmazione sportiva viene dopo. Si è parlato tanto, troppo. Io dico: chi non fa non sbaglia. Non sono e non siamo nessuno se si poteva fare meglio o peggio. Da tifoso chiaramente auspicavo a un risultato sportivo migliore”. Si è tirato fuori dalla querelle, ha detto, però intanto ha parlato. E si è contraddetto più volte, anche perché negare il marchio al mercato significa allontanare ulteriormente eventuali investitori.