Reggio Calabria, Francesco Putortì resta in carcere: anche il Tribunale della Libertà rigetta il ricorso | DETTAGLI

Reggio Calabria, resta in carcere Francesco Putortì: il macellaio di 48 anni che lunedì 27 maggio si è difeso dai ladri che lo hanno aggredito dentro la sua abitazione. I dettagli di una vicenda surreale

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Francesco Putortì resta in carcere. A tempo indeterminato. Come un criminale, come un pericoloso ‘ndranghetista, lui che è una persona perbene e che la mattina di lunedì 27 maggio si è ritrovato due ladri dentro casa nella frazione di Oliveto, a Reggio Calabria, e si è difeso dalla loro aggressione. Uno dei due è morto dopo circa 40 minuti, abbandonato dai complici nel parcheggio dell’ospedale Morelli, l’altro è rimasto ferito. Non sono ancora note le cause del decesso. In casa c’è stata una colluttazione tra i ladri che hanno aggredito Putortì, e Putortì che si è difeso con un banale coltello da cucina, ma i ladri sono fuggiti e hanno corso per 800 metri per raggiungere i complici in auto.

Putortì, 48 anni, sposato con un figlio 18enne, è in carcere dal giorno successivo per la controversa scelta del Tribunale che ha ritenuto che possa cancellare le prove, fuggire dandosi alla latitanza e addirittura reiterare il reato. Lui che prima di questa vicenda non era mai stato neanche sfiorato da alcun tipo di indagine, è totalmente incensurato, ed è una brava persona.

Questa mattina, infatti, anche il Tribunale della Libertà ha rigettato l’istanza degli avvocati difensoriGiulia Dieni e Natale Polimeni, avverso la custodia cautelare in carcere. I legali non hanno mai chiesto la totale libertà dell’imputato, né in questo frangente si discute della sua innocenza o colpevolezza: sarà il processo ad accertare bene ciò che è accaduto e cosa prevede la legge rispetto all’entità della reazione di Putortì, rispetto alle cause della morte del ladro etc. etc.

Ciò che stupisce in questa fase è l’ostinazione nel tenere imprigionato in carcere come un pericoloso criminale, un padre di famiglia senza macchia che ha subito il dramma di un furto in casa, si è difeso dai delinquenti e adesso è in galera: una beffa di Stato, oltre al danno dei criminali. Si tratta di un provvedimento quantomeno esagerato (i legali avevano chiesto una misura alternativa, come ad esempio i domiciliari) rispetto all’entità dell’accaduto. La casa, infatti, è stata dissequestrata: tutti i rilievi sono già stati realizzati dalla Scientifica e la famiglia di Putortì è tornata a vivere nel posto. Com’è pensabile che lui, quindi, possa inquinare le prove uscendo dal carcere, in una casa già iper controllata e in cui è tornata a vivere la famiglia? Inoltre la latitanza è totalmente da escludere per un soggetto che – pur ipotizzando che avesse la volontà di fuggire – non ha né la necessaria rete di contatti né le adeguate coperture economiche per garantirselo. Infine, ed è l’elemento più assurdo, come potrebbe reiterare un reato che in ogni caso nasce da una rapina? Si vuole credere che proprio Putortì possa subire un’altra rapina? Oppure si vogliono – lo scriviamo come provocazione – tutelare i ladri affinché siano liberi di rapinare senza persone che hanno già dimostrato di ostacolarli?

Cadendo questi tre presupposti (reiterazione del reato, pericolo di fuga e rischio di inquinamento delle prove), cade totalmente la necessità di mantenere in carcere una persona come Putortì, fino ad oggi completamente incensurato.  E invece il 48enne che si è difeso dai ladri rimane in galera per il 18° giorno consecutivo e probabilmente ci rimarrà ancora a lungo. I legali potranno presentare ricorso in Cassazione avverso questo provvedimento, e lì non si entrerà più nel merito ma nella legittimità. In ogni caso, trascorreranno almeno altri 10 giorni.

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