Turismo in Sicilia? Un disastro, senza mobilità

Due terzi delle ferrovie siciliane chiuse per lavori, isole difficilmente raggiungibili, aeroporti in tilt. E c’è pure chi inneggia al turismo come risorsa primaria per la Sicilia

StrettoWeb

Il turismo, questa risorsa indispensabile per l’economia della Sicilia. Così nella vulgata comune e nelle ricette salvifiche della nostra classe politica, da molto, troppo tempo. Ma le parole, da sole non bastano, quando i fatti, inesorabilmente, smascherano una condizione infrastrutturale al limite del disastro, che non aiuta né il turismo né qualsiasi altra attività economica si volesse intraprendere sul territorio siciliano. Isole minori comprese.

E’ di questi giorni un’allarmata nota di Federalberghi Isole Eolie, inviata a tutti gli enti e soggetti interessati, con in testa il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e l’assessore alla mobilità Alessandro Aricò, che denuncia “gravi disservizi e aumenti tariffari che penalizzano sia i residenti che i turisti“. In particolare l’insufficiente capienza dei mezzi di trasporto attualmente in servizio ed i frequenti ritardi, fino a due ore e mezza, dovuti a problemi tecnici di navi obsolete.

In aggiunta ai problemi operativi, Federalberghi sottolinea aumenti esorbitanti delle tariffe, che da giugno 2022 a dicembre 2022, sono aumentate per un totale del 56%, incrementando il costo della vita nelle isole e scoraggiando i turisti, in particolare quelli che viaggiano nei weekend o per brevi soggiorni.

Ferrovie: chiusi due km di binari su tre

Se le isole minori piangono, quella maggiore non ride: gli organi di informazione hanno appena scoperto che buona parte delle ferrovie siciliane rimarrà chiusa al traffico per tutta l’estate. Lo fanno in ritardo, dato che questo avviene regolarmente da anni, sempre in estate, con estensioni saltuarie alle altre stagioni. Ma mai si era arrivato, come in questi giorni, alla chiusura di una percentuale del 65% dell’intera rete siciliana: su 1370 km, il 10 giugno scorso ne risultavano disattivati circa 860, che soltanto in parte saranno riattivati il prossimo 8 settembre.

Tra le linee chiuse, tratte consistenti tra Palermo e Catania, non più collegate direttamente, nonché le linee per Agrigento (capitale della Cultura 2025) e Trapani; questi capoluoghi, come d’altronde Ragusa ed Enna, sono raggiungibili soltanto su gomma.

Niente treni, ma “comodi” pullman sostitutivi, quindi, sotto il sole estivo nel bel mezzo della regione più calda d’Europa. E sulle strade che conosciamo, con l’aggravante di dover raggiungere centri spesso lontanissimi dalle grandi arterie autostradali.

Attenzione: stiamo parlando di due km di ferrovie chiusi su tre. Immaginate se una cosa del genere si fosse verificata in Veneto o in Lombardia, comprendendo anche il collegamento fra le due principali città di queste regioni. Si sarebbe gridato allo scandalo, al disastro economico, alla paralisi della “locomotiva” italiana. Per l’ultimo carro trainato d’Italia (la Sicilia), nessuno si è scandalizzato, se non alcune associazioni di consumatori (ADOC in testa) e di Pendolari (come il Comitato Pendolari Siciliani-CIUFER).

La politica ha fatto spallucce. Neanche in questo caso, infatti, la Regione siciliana, a cui compete il Trasporto Pubblico Locale, ha ritenuto opportuno alzare un dito, magari convocando il gestore della rete ferroviaria che dovrebbe essere tenuto a garantire, per quanto gli compete, questo servizio essenziale.

E che invece per indifferibili lavori di “potenziamento” della rete ferroviaria ha ritenuto di effettuare questi lavori, senz’altro necessari, tutti insieme nella stessa stagione: quella turistica. Possibile che nessuno di questi potesse essere differito, o eseguito di notte, nelle “pause di esercizio”?

La precarietà di traghetti ed aerei

Insomma, un quadro degli spostamenti interni nell’isola che lascia attoniti. Ma neanche i collegamenti da e verso l’esterno fanno dormire sonni tranquilli, a residenti e turisti.

E non solo per le lunghe, immancabili code agli imbarchi, di cui a breve avremo testimonianza da giornali e TV, per il traghettamento sullo Stretto di Messina. Si, proprio quello che, in fondo, “dura soltanto 20 minuti” come improvvidamente è stato dichiarato durante l’ultima campagna elettorale da esponenti politici di primaria rilevanza a livello nazionale. I quali, pur di assecondare le tesi dei “no Ponte” e raccogliere i voti di chi si oppone all’opera di attraversamento stabile, hanno bellamente dimenticato che al traghetto bisogna pure arrivarci. E che, se si vuole traghettare in treno, quei 20 minuti diventano almeno 2 ore.

Meno male che c’è l’aereo, si potrebbe dire, ma occorre fare i dovuti scongiuri. L’anno scorso, esattamente il 16 luglio del 2023, un incendio dall’origine rimasta ancora misteriosa (si parò del cavo di una stampante, ma l’ipotesi venne, ovviamente, smentita) mise KO l’aeroporto più importante dell’isola, Catania Fontanarossa. Per tutto il resto dell’estate, praticamente, gli utenti del trasporto aereo, turisti e non, si videro sballottati da un lato all’altro della Sicilia, alla ricerca di un volo per partire o arrivarci, nell’isola.

Si assistette per settimane all’indegno spettacolo di centinaia di turisti che bivaccano sotto il sole, stesi per terra, in attesa che qualcuno dicesse loro cosa fare. Dopo aver protestato per inesistenti campagne di stampa a discapito dell’isola, orchestrate, come al solito, dai soliti giornalisti malevoli, i vertici regionali annunciarono provvedimenti severissimi nei confronti dei responsabili, tra una passerella e l’altra allo scalo catanese, che solo a fine agosto rientrò a regime, non prima di aver causato danni irreparabili alla stagione turistica. Naturalmente, quei provvedimenti nessuno li ha mai visti, e chi ha causato quel disastro è ancora al suo posto, pronto a cagionarne un altro.

Turismo prima risorsa, ma solo a parole

Tutto questo in una regione in cui da 50 anni, almeno, il turismo, nelle dichiarazioni di politici ed “opinion leader” veri o presunti, dovrebbe essere il settore trainante per l’economia. Dove, insomma, “si potrebbe vivere di solo turismo“. Come, non si sa. Certo, non con servizi di trasporto da terzo mondo, e connettività nulla non soltanto nelle aree interne, ma anche verso l’esterno della Sicilia.

Lo dimostrano, come sempre, i numeri: la Sicilia è soltanto al settimo posto in Italia per presenze di stranieri, mentre ai primi posti troviamo Veneto, Toscana, Lazio e Lombardia. Regioni che, riteniamo, non presentino più monumenti o bellezze naturali della Sicilia, ma in cui, magari, è possibile usufruire di infrastrutture di collegamento che nell’isola sono una chimera: si pensi ai treni ad Alta Velocità, che, guarda caso, servono da decenni proprio le aree italiane più visitate dai turisti.

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