Il “Comitato 14 luglio”, che raggruppa Associazioni, Movimenti e Partiti del centrodestra reggino, che si adopera per tenere sempre vivo e attuale lo spirito dei Moti del 1970 con varie attività di carattere storico, politico, sociale e culturale, comunica le iniziative previste per quest’anno:
- Venerdì 12 luglio alle ore 18,30, presso il Lido Pepys, a cura del Centro Studi Tradizione Partecipazione e di Fratelli d’Italia, incontro: “I media e la Rivolta di Reggio – la disinformazione al servizio del sistema”. Nell’occasione sarà presentato di libro di Luca Bonanno “Giorgio Pisanò soldato, giornalista, politico”. All’evento parteciperanno il Presidente del CSTP Giancarlo La Monica, la Presidente di FdI di Reggio Ersilia Cedro, la giornalista Monia Sangermano, il giornalista e scrittore Vinicio Leonetti, Annamaria Franco, Nicola Malaspina e Giuseppe Agliano.
- Domenica 14 luglio alle ore 19, deposizione di un omaggio floreale presso il Monumento ai “Moti di Reggio Calabria del 1970” sito sul Lungomare e, a seguire, alla Stele dedicata al Sen. Ciccio Franco.
Agliano: “i Moti di Reggio rappresentano il più vasto movimento popolare della storia repubblicana italiana”
“I “Moti di Reggio” rappresentano il più vasto movimento popolare della storia repubblicana italiana, la prima Rivolta ”identitaria” d’Europa. Anche se la memoria inizia ormai a sbiadire – sostiene Giuseppe Agliano – i reggini però sono ancora sensibili alle emozioni che 54 anni fa riuscì a suscitare la “Rivolta di Reggio Calabria” e tanti ancora ricordano e testimoniano quanto accadde in quel periodo. Si tratta di un periodo storico che bisogna considerare come un valore per l’intera nostra comunità, da trasmettere alle generazioni future, come esempio di una dignitosa reazione da parte della città ad un grave torto subito. Tutto ebbe inizio il 14 luglio 1970, in occasione del primo sciopero generale indetto per contestare la decisione del governo che indicava Catanzaro quale capoluogo della Calabria e dura, con varia intensità, fino al settembre 1971, con strascichi che arrivarono al 1973. Tuttavia, le sue conseguenze socio-politiche si protrassero per molto tempo. La principale causa fu la “spartizione” della Calabria, decisa nel corso di una cena in un ristorante romano, dai maggiorenti politici del tempo che, costituendo l’asse cosentino-catanzarese, esclusero Reggio da ogni possibilità di rivendicazione.
“Mancini, Misasi e Pucci, tra una amatriciana e un abbacchio, decisero che Catanzaro sarebbe diventato il cuore burocratico della Calabria con l’assegnazione del Capoluogo di regione, Cosenza sarebbe diventata il polo culturale regionale con l’istituzione dell’Università e a Reggio sarebbero toccati non meglio precisati insediamenti siderurgici e chimici. Sappiamo tutti come andò a finire. Purtroppo, al grido di dolore di una comunità intera la risposta dello Stato non fu all’altezza e si misurò solo sul piano repressivo e sulle vaghe promesse di posti di lavoro. Per contrastare i manifestanti, fu fatto confluire un numero impressionante di forze dell’ordine, interi reparti di poliziotti della “celere”, carabinieri e soldati. Diecimila uomini, provenienti volutamente da regioni del nord, con scarsa conoscenza del tessuto sociale locale, occuparono scuole, caserme e alberghi, ai quali spesso venivano impartiti ordini confusi e contraddittori. Elementi questi, che innalzarono la tensione fino a sfiorare scenari di guerra, soprattutto con l’ingresso in città dei carri armati dell’Esercito, invocati a gran voce dai partiti di sinistra e inviati dal governo per sedare con la forza bellica una protesta cui lo Stato contrapponeva i mezzi blindati al lancio di pietre“, rimarca Agliano.
“Quando partiti, sindacati e organizzazioni nazionali si defilarono, i reggini trovarono come loro unico interlocutore Ciccio Franco, dirigente del Movimento Sociale Italiano e sindacalista della CISNAL, che fece proprio il grido di dolore che si innalzò dalla città in quella incandescente estate del 1970. Mai come oggi, in cui a prevalere sono sentimenti di rassegnazione, di menefreghismo e di apatia sociale, l’esempio di Ciccio Franco deve essere da stimolo e da monito. Lui, reggino fra i reggini incarnò la dimensione popolare della protesta. Infatti, nelle piazze, per le strade e tra le barricate ci furono uomini e donne, giovani ed anziani; proprietari terrieri e braccianti; studenti, operai ed impiegati; classi abbienti e povera gente; persone di diverso strato sociale che lottò compatta per rivendicare un diritto, per denunciare un sopruso. Una straordinaria esperienza mai più ripetuta in alcun paese delle democrazie occidentali, l’esperienza di un Popolo che non si arrese, che non si rassegnò, ma che lottò per la giustizia sociale e per il proprio futuro, che per questo pagò e, forse ancora paga, un prezzo altissimo. Da molti anni ormai – conclude Agliano – Reggio è attraversata da uno dei periodi più tristi e bui della sua trimillenaria storia, forse ancora più tragico del periodo della Rivolta, dal punto di vista delle prospettive socio-economiche, della fiducia nel futuro e della credibilità delle rappresentanze politico-istituzionali. Solo uno scatto d’orgoglio dei reggini potrà porre fine all’ignobile e indegna situazione attuale in cui versa la città.