Il fastidio di pensare – Il banchetto dei condannati

La cultura livellante e politicamente corretta ha raggiunto la sua apoteosi davanti agli occhi del mondo nello spettacolo che la Francia ha dato in occasione della presentazione delle Olimpiadi

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Ci sono molti modi per perdere le battaglie: il peggiore, probabilmente, è di cedere tutto senza neanche accettare il combattimento. E l’aggravante è difendere le ragioni dell’avversario per passare non per dei vili ma per degli uomini che sanno guardare oltre i propri egoismi: non c’è sconfitta che un po’ di intellettualismo non sappia condire fino a farle acquistare il sapore di una straordinaria vittoria.

L’Occidente vive, da tempo, in balia della cultura woke

L’Occidente vive, da tempo, in balia della cultura woke, una sorta di cultura annichilente che vuole cancellare tutto il proprio passato in nome di un fumoso egualitarismo dai confini incerti e dove ormai c’è da aver paura finanche a pronunciare una parola al posto di un’altra senza rischiare di essere accusati di disprezzo verso qualcuno. Perché alla base di questa cultura, come ben aveva osservato Robert Hughes che la aveva ribattezzata come cultura del piagnisteo, c’è il grido di ogni categoria che pretende di essere rappresentata e lo fa non in base a presupposti culturali ma semplicemente gridando e lamentando discriminazioni. È l’epoca, osserva Daniele Giglioli, in cui non gli eroi, ma le vittime sono innalzate su un piedistallo, e più si lamentano soprusi più si pretendono riconoscimenti. C’è insomma il grido insolente di chi finora è stato in qualche modo ai margini di una cultura e che ora mena staffilate piene di livore verso un mondo da cui si è sentito escluso ma di cui, comunque, anche lui sta godendo i frutti.

Olimpiadi Francia

Adesso questa cultura livellante e politicamente corretta ha raggiunto la sua apoteosi davanti agli occhi del mondo nello spettacolo che la Francia ha dato in occasione della presentazione delle Olimpiadi. Abolizione di tutto quanto ha rappresentato, nella società, una barriera e una distinzione. Tutto è stato un fardello che ha impedito a ogni persona di esprimersi liberamente nella sua pienezza, ma ora questi vincoli sono dissolti: sacralità, sessualità, aspetto esteriore e quant’altro: tutto adesso può essere liberamente espresso e buttato in faccia, e guai a protestare. Il mondo, nella sua struttura sociale e culturale, come in una nuova rivoluzione è adesso purificato e consegnato a sé stesso nella sua verginità.

Ma se poi si va a osservare meglio quello che l’Occidente sta buttando con altezzosità nella spazzatura in nome di una nuova umanità livellata non è il peso del passato tout court ma solo il peso del suo passato. Anche noi, per esempio, che non siamo cristiani, non possiamo certamente negare che il cristianesimo e un certo tipo di valori hanno rappresentato negli ultimi due millenni una componente culturale estremamente forte della civiltà Occidentale, nei suoi pregi e nei suoi difetti, e la ha caratterizzata in tutto quello che la ha distinta da tutte le altre. E non ci si venga a dire seriamente che la cultura Occidentale è sullo stesso piano di tutte le altre.

La lotta contro la religione è stata portata a temine

Adesso, in epoca di deriva neopositivista, la lotta contro la religione è stata portata a temine e finanche i vescovi, che hanno manifestato la loro offesa quasi timidamente, si sentono quasi in soggezione e vengono maltrattati come rappresentanti di un oscurantismo che va spazzato via davanti alla luce della modernità: non più il mondo deve sottostare ai canoni della religione, ma la religione ai canoni del mondo. E ci si sente quasi in diritto di offendere la religiosità quasi con la spocchia di chi, costretti così a lungo a subirla, può masticare adesso la sua vendetta. Ma non siamo sicuri però, proprio noi che la religione non l’abbiamo mai praticata, che questi che ci vogliono liberare dalla tirannia religiosa non ci vogliano condurre verso un nuovo oscurantismo. E che quelli che qui vediamo sbeffeggiati non rappresentano la religione nella sua astrattezza, quella che Feuerbach aveva già analizzato e criticato senza l’ausilio e le imbecillità della cultura woke, ma, per l’appunto, i residui della religione cristiana: quella Occidentale. Quella musulmana per esempio, che infatti è un po’ più suscettibile e sta infatti conquistando a poco a poco la Francia, ci si è ben guardati dal toccarla. Ognuno, infatti, ha il diritto di distruggere solo ciò che in qualche modo gli appartiene. Mentre gli altri stanno a guardare e, in qualche modo, ad attenderne il suicidio. Si potrà anche discutere se quella parodia, invece che l’ultima cena rappresentasse solo un dionisiaco banchetto degli dei in versione moderna con drug queen, trans e quant’altro. Si ricorderà allora solo, come parallelo storico, un piccolo capolavoro letterario, questa volta meno volgare, pervenutoci dalla romanità di un mondo imperiale ormai storicamente e moralmente in decadenza, se non in piena rovina. Perché tutte le grandi civiltà muoiono lentamente corrose da un lento nichilismo che invece scambiano per la loro forza. Nel Satyricon di Petronio i due protagonisti, due studenti oziosi e sfaccendati, nel loro girovagare in un mondo ormai corrotto e dove l’etica è stata polverizzata e dilaga un amore libero e dissoluto comunque sia, efebico, omosessuale e annoiato, purché porti piacere e divertimento, capitano appunto ad una cena monumentale il cui scopo è divertirsi al di là e al di sopra di tutto.

È, al centro dell’opera, la cena di Trimalcione, che descrive una società che si è liberata delle proprie presunte catene e ha distrutto i pregiudizi della morale, ma è anche una società talmente allo sbando da rappresentare, senza accorgersene, la sua lenta agonia. Ma siccome non si può vivere troppo a lungo in un perpetuo festino, subito alla morale vecchia è giunto appunto storicamente il cristianesimo a rifondare una società morente. Adesso forse i francesi credono di avere liberato l’uomo e di averne decretato i funerali in quella obbrobriosa parodia a cui abbiamo assistito: ma le società non vivono troppo a lungo in una anarchia etica. Come diceva Dostoevskij, l’uomo sente il bisogno prima o poi di inginocchiarsi di fronte a qualcosa, e distrutto un idolo deve crearne un altro per sostituirlo. E noi temiamo che, cancellato con spocchia un Dio non ha creato la propria libertà ma ha solo liberato il terreno a quello che lo sostituirà e abbiamo paura che sia proprio quello i cui fedeli, ancora intrisi di una morale solida e agguerrita, stiano per ora ad osservare alla finestra, mentre si guardano bene dal partecipare a questo scempio per  prendersi l’Occidente senza neanche combattere. Aspettando semplicemente che gli venga consegnato, dopo che il suicidio si sarà compiuto.

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