Il fastidio di pensare – L’impurezza dell’arte

Le diramazioni della cultura woke, che sta corrodendo l’Occidente, fanno capolino anche in Vaticano

StrettoWeb

Le diramazioni della cultura woke, che sta corrodendo l’Occidente, fanno capolino anche in Vaticano. Queste diramazioni, che vogliono una perfetta sintonia tra la nitidezza interiore dell’individuo e le sue opere si riversano adesso sull’attività artistica del presbitero gesuita Marko Rupnik che è finito sotto un fastidioso processo con l’accusa di diversi abusi che avrebbe compiuto durante la sua attività sacerdotale. Ma il sacerdote, prima della sua caduta, godeva fama di rinomato teologo ed è stato appunto anche un artista di chiara fama e nel corso degli anni era stato chiamato a decorare interni e facciate di alcune delle più prestigiose chiese della cristianità cattolica.

E adesso il movimento woke, che da sempre si sposa con una sua idea di damnatio memoriae da attuarsi con imbrattamento di monumenti, abbattimento di statue, richiesta di rimozione di lapidi non appena si scopre che un nome non sia esattamente un sant’uomo ha cominciato ad attuare i canoni della cancel culture anche nei confronti di quelli che fino a qualche anno fa erano considerati dei capolavori artistici chiedendo implacabilmente la rimozione dei mosaici del sacerdote che è finito sotto accusa.

Il Vaticano sta fino ad ora saggiamente resistendo, ma le prime crepe si vanno aprendo: il Vescovo di Lourdes ha già apertamente manifestato l’intenzione di rimuovere i mosaici che adornano il santuario in rispetto delle vittime, mentre finanche un altissimo prelato come il cardinale O’Malley anche se non ha ancora espressamente parlato di rimozione ha espresso per ora il divieto di riprodurre in ogni circostanza e in ogni forma di stampa immagini delle opere di Rupnik. Insomma, ha detto, per ora limitiamoci a ignorarle, poi si vedrà.

Qui naturalmente non si discute minimamente delle eventuali colpe del canonico, che vanno analizzate per altra via ed eventualmente per altra via sanzionate. Noi modesti studiosi d’arte ci limitiamo a un giudizio più modestamente estetico. È nascosto in questo modo di fare un vecchio pregiudizio mai debellato che lega l’opera d’arte al valore morale dell’autore, fino a farne un tutt’uno indissolubile. Fino al paradosso che, se un quadro o una poesia erano sembrate fino a un momento di alta fattura diventano improponibili se viene scoperto improvvisamente che l’autore non era quell’uomo di alto sentire che si era creduto.

Si vede facilmente che se si usasse questo criterio, in un mondo di peccatori, quasi nulla resterebbe del patrimonio artistico mondiale che riempie i musei e le chiese, e le biblioteche e le antologie letterarie si ridurrebbero a pochi fogli sparsi. Tanto più che le Muse, come ho ricordato in diverse occasioni, amano distribuire con cinismo e quasi con sarcasmo i loro doni e spesso offrono i loro talenti agli individui più squallidi mentre sono molto avare con quelli di maggiore altezza morale. E basterebbe guardare quelli che hanno offerto i loro servigi alla Chiesa: Caravaggio era poco meno di un delinquente, Raffaello non ha fatto altro che imprestare alle madonne i volti delle donne di malaffare con cui amava divertirsi, e se vogliamo allora svuotare le piazze usando questi criteri possiamo cominciare da Benvenuto Cellini che nella sua Vita si è descritto orgoglioso e fiero come un pluriomicida. E questo, beninteso, guardandosi bene dal fare una passeggiata in mezzo all’inferno degli ultimi due secoli di letteratura.

Si può ancora quindi analizzare un’opera d’arte per sé stessa senza passare per quella malattia infantile che è un moralismo inflessibile che sta invadendo l’Occidente e che ne pretende invece dall’alto di una corte etica ogni cancellazione accanto alla condanna dell’autore, di cui avrebbe assorbito come una parte di vita e quindi ne sarebbe in qualche modo infetta. Si pensi a quanti insistono per demolire ancora dopo un secolo la casa natale di Hitler o ne acquistano le opere giovanili solo per distruggerle.

Ma adesso, appunto, come ogni volta, qualcuno ha cominciato a lamentarsi, e questa che Robert Hughes aveva definito come la cultura del piagnisteo ha rimesso in moto la macchina del vittimismo. Ma dove il vittimismo viene elevato alla dimensione del ricatto, altrimenti si rischia il peggiore marchio in cui incombere: quello del politicamente scorretto, quello in cui incorre chi combatte battaglie di retroguardia. E quindi ognuno che abbia subito un torto si sente autorizzato a tirare un altro calcio alle fondamenta della cultura occidentale fino a che non diventeranno abbastanza esili da crollare del tutto. E così quindi, anche se nessuno lo pensa e quindi ognuno crede che in fondo l’estetica non c’entri nulla con le malefatte dell’illustre sacerdote, si provvederà un giorno a smantellare i diversi mosaici perché un gruppo di persone hanno deciso che la loro stessa visione può provocare fastidio. Il re continua a camminare nudo, ma nessuno è autorizzato a farglielo sapere. E con quelle opere si andrà smantellando anche un altro tassello della cultura occidentale.

Condividi