Letture sotto l’ombrellone: la curiosa storia del peperoncino in un libro straordinario

"Tracce di cucina di Calabria", il bellissimo libro di Pinuccio Alia pubblicato a Reggio Calabria da Città del Sole Edizioni: un consiglio prezioso per le letture estive

StrettoWeb

Le origini sono in Perù e Messico, dove veniva utilizzato dalle popolazioni autoctone come unica spezia. Dobbiamo a Cristoforo Colombo la diffusione in Europa, nel 1493 portò i peperoncini dall’America al Vecchio Mondo. Non era una spezia usata nelle cucine dei ricchi, l’Artusi nel suo famoso ricettario non cita mai il peperoncino, viceversa divenne in breve tempo l’ingrediente onnipresente nelle mense contadine del sud e nelle tavole dei poveri, nonostante il giudizio negativo della Chiesa che lo bollò come “suscitatore di insani propositi” col gesuita Josè de Acosta!

Il rosso peperoncino, specie quello calabrese, è usato nel piatto più semplice ed iconico della cucina povera: Spaghetti aglio olio e peperoncino. Eccone di seguito una romantica citazione tratta dal libro “Tracce di cucina di Calabria” di Pinuccio Alia (Città del Sole Edizioni, 312 pagg.15 €).

Non credo di dire una grande verità se affermo che i grandi piatti che hanno in qualche modo fatto la storia  della nostra cucina siano sempre nati dalla miseria. Disgustosa e crudele. Sono sempre stato convinto che gli spaghetti aglio, olio e peperoncino siano stati inventati da un contadino che quando a mezzogiorno si riposava dopo lunghe e faticosissime ore di lavoro, la sua giornata cominciava all’alba, stanco di mangiare pane e companatico decise di   rivoluzionare la sua dieta.

Cominciò più o meno così: era una fredda giornata d’inverno, il sole era un ricordo molto lontano. Qualche goccia di pioggia lo aveva convinto a ripararsi nel capanno che custodiva gli attrezzi.

Ogni contadino che coltiva la sua terra possiede una turra nella quale conserva anche qualche provvista, patate, agli, cipolle, fagioli, lenticchie. Prodotti coltivati nel corso delle stagioni e che serviranno ancora per semina.

Quel giorno decise di prepararsi un bel piatto di pasta, sia per ingannare il tempo sia per riscaldare lo stomaco. Accese con qualche carbone la  fornacella. Vi posò sopra una pentola con dell’acqua e vi calò gli spaghetti, che in campagna non mancano mai. Pensò ad una salsa immediata per condirli, ma non trovò nulla. Niente! Solo olio e neanche una bottiglia di pelati.

Ed allora decise, giusto per dare un sapore alla pasta, di riscaldare l’olio e per caso, solo per caso, ci mise anche uno spicchio di aglio. Ma la salsa  era di colore bianco e per i contadini la pasta bianca da sempre era il cibo degli ammalati.

Lui non era  malato, era un uomo possente che sprigionava salute da tutti i pori. Cercò e trovò del pepe rosso. Aveva  seccato al sole i peperoni piccanti che aveva coltivato. Li aveva portati a macinare nel mulino a pietra, non distante dalla sua proprietà e conservava la polvere in un barattolo di vetro. Prese dunque una manciata di pepe rosso e lo aggiunse alla salsa che si colorò di un bellissimo rosso vivo. Era  come se fosse stata preparata con il pomodoro.

Con questa salsa condì gli spaghetti che mangiò direttamente dalla  padella. Erano saporiti, gustosi, di un bel colore rosso e li aveva preparati in pochissimo tempo. Mancavano un po’ di sale, ma non se ne fece un cruccio. Li divorò ma non solo per la fame.

Erano buonissimi e decise di riproporli alla moglie. E poi agli amici ed agli amici degli amici.

Aveva inventato un piatto che avrebbe riscaldato il suo stomaco nelle pause del faticoso lavoro dei campi. Mai  seppe  che avrebbe interessato la storia della cucina“.

Condividi