Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, la Direzione Investigativa Antimafia nella mattinata di oggi ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma nei confronti di 18 persone (16 in carcere e 2 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa (artt. 416 e 416 bis.l c.p.), finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti di estorsione (artt. 110, 629 e 416 bis l c.p.), usura (artt. 110,644 e 416 bis l c.p.), armi (artt. 2 e 4 L. 895/67 e art. 23 L. 110/75), fittizia intestazione di beni (artt. 110, 512bis, 416bis 1 c.p.), riciclaggio (artt. 110, 648 bis e 416 bis l c.p.), autoriciclaggio (artt. 11O, 648-tet.l c.p. e 416 bis l c.p.) e reimpiego (artt. 110, 648-ter. e 4 l 6bis 1 c.p.) in attività economiche di proventi illeciti, aggravati dalla finalità di aver agevolazione dei clan di camorra MAZZARELLA – D’AMICO: delle cosche della ‘ndrangheta MANCUSO e MAZZAFERRO e del clan SENESE.
Più in particolare, nel corso della attività di indagine, avviata nel 2018 dalla Direzione Investigativa Antimafia – Centro Operativo di Roma, con il coordinamento della DDA della Procura di Roma, sono stati raccolti elementi gravemente indiziari in ordine alla esistenza di due associazioni per delinquere che attraverso una strategia di sommersione riciclavano ingenti profitti, infiltrando progressivamente attività imprenditoriali in apparenza legali operanti in molteplici campi quali la cinematografia, l’edilizia, la logistica, il commercio di autovetture e di idrocarburi. In tale contesto sono state costituite numerose società “fittizie” per emettere false fatturazioni grazie al supporto fornito, tra gli altri, da imprenditori e da liberi professionisti.
Gravemente indiziati di essere al vertice della prima associazione – sulla quale si è focalizzata fin dall’inizio l’attività investigativa – sono Antonio NICOLETTI, figlio di Enrico Nicoletti, e Pasquale LOMBARDI, insieme a soggetti di qualificato rilievo in seno alla criminalità organizzata campana quali Salvatore D’AMICO e il figlio Umberto, e Umberto LUONGO.
Dalle risultanze emergono gravi indizi della creazione, avvalendosi della partecipazione di numerosi soggetti appartenenti agli ambienti della criminalità autoctona romana e di matrice camorristica, di una complessa rete di società “cartiere” intestate a prestanome attraverso le quali riciclare ingentissime somme di denaro proveniente dai clan campani. In tale contesto emergeva, sempre in termini di gravità indiziaria, la figura del produttore cinematografico Daniele MUSCARIELLO nella veste di fiduciario degli stessi clan e del manager musicale Angelo CALCULLI.
La prosecuzione delle indagini documentava inoltre una convergenza di interessi di mafie storiche e nuove mafie, segnatamente del clan D’AMICO-MAZZARELLA, delle cosche calabresi dei MANCUSO e MAZZAFERRO e della famiglia SENESE nel settore del commercio illecito degli idrocarburi, raccogliendo gravi indizi circa l’esistenza di un’altra autonoma associazione criminale, collegata alla prima, operante sulla capitale e ramificata in altre regioni del Paese.
Gravemente indiziati quali capi e promotori sono Vincenzo SENESE, figlio di Michele, Roberto MACORI e Salvatore D’AMICO. Le indagini facevano emergere gravi indizi in ordine all’esistenza di una complessa struttura organizzata che attraverso numerose società cartiere, finanziate dai citati clan campani e calabresi, avrebbe acquisito il controllo di depositi fiscali di idrocarburi, funzionali alla realizzazione delle attività di riciclaggio.
In termini di gravità indiziaria, contestualmente ai reati di natura economico-finanziaria, circostanziati anche dalle attività di accertamento fiscale delegate al Nucleo PEF della Guardia di Finanza di Roma, i componenti delle due organizzazioni sono risultati anche dediti alla commissione di una serie di delitti in qualche modo strumentali ai primi (delitti di estorsione e usura) tanto per regolare partite di dare e avere tra loro o con terzi quanto per legare a sé gli imprenditori indispensabili per alimentare l’illecito profitto. In tale ambito, emergeva la riserva di violenza delle due associazioni, sia per la forza di intimidazione derivante dagli stretti legami con le organizzazioni criminali mafiose che per l’immediata disponibilità di armi da guerra e comuni da sparo.
Il G.I.P. accogliendo richiesta di quest’Ufficio disponeva il sequestro preventivo ai fini della confisca ex. art. 321 co. 1 c.p.p. di società attive nel settore cinematografico e il sequestro per equivalente ex art. 321 co. 2 c.p.p. e 648 quater c.p., fino alla concorrenza di oltre 130 milioni di euro, da eseguirsi nei confronti di 57 indagati.
Il procedimento versa tuttora nella fase delle indagini preliminari, con la conseguenza che per tutti gli indagati vige il principio di presunzione di innocenza.