Si va in vacanza con la speranza di una riforma previdenziale

A settembre prima con la presentazione della Nadef e poi in ottobre con la Legge di Bilancio si scopriranno finalmente le carte e si vedrà nero su bianco su che direttrici si muoverà il Governo e quanti denari metterà su questo importante tema

StrettoWeb

L’Italia si sta godendo le meritate vacanze dopo un anno durissimo con due guerre che ci coinvolgono indirettamente e di cui purtroppo non si vede ancora la fine e, per intanto, assistiamo a qualche segnale positivo in ambito economico che ci fa ben sperare in una riforma, almeno parziale, della previdenza a partire dal 2025.

Oltre al turismo che da sempre ci ha dato una mano nei momenti bui notiamo un aumento dell’occupazione anche con contratti a tempo indeterminato con numeri record, una significativa diminuzione dell’inflazione tornata sotto controllo dopo i due anni terribili del 2022 2023 e una riduzione dello spread e del tasso di sconto che determina un costo minore sugli interessi da pagare dell’enorme debito pubblico.

Se poi ci mettiamo che le rate del PNRR stanno arrivando con cadenza regolare e che la lotta all’evasione fiscale e contributiva per effetto della “tax compliance” sta dando ottimi risultati si può sperare che si possa creare un piccolo tesoretto da impiegare nella riforma previdenziale di cui si pala ormai da oltre dieci anni.

Anche perché in questi ultimi anni abbiamo assistito solamente a piccoli interventi come per esempio “Quota 103” che hanno avuto poco appeal e che anche per le condizioni poco vantaggiose hanno interessato solamente poche decine di migliaia di lavoratori.

A settembre prima con la presentazione della Nadef e poi in ottobre con la Legge di Bilancio si scopriranno finalmente le carte e si vedrà nero su bianco su che direttrici si muoverà il Governo e quanti denari metterà su questo importante tema.

Intanto in questi giorni sui giornali e sui siti specializzati stanno fioccando molte ipotesi tutte da verificare. Dapprima c’è stata quella del CNEL che ipotizza una ampia flessibilità in uscita a partire dai 64 anni fino ad arrivare ai 72 abbandonando le Quote 100, 102, 103 del passato. Questa flessibilità agendo sui coefficienti di trasformazione permetterebbe a scelta del lavoratore di uscire dal mondo del lavoro a partire dai 64 anni accettando un taglio dell’assegno previdenziale fino all’età ordinamentale dei 67 anni, età da cui poi partirebbe un incentivo economico incrementabile fino ai 72 anni. Molto simile a questa ipotesi di proposta c’è poi quella formulata da Alberto Brambilla ex sottosegretario nei governi Berlusconi 2 e 3 e Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali che fisserebbe questa flessibilità dai 63/64 anni fino ai 72 anni purché in presenza di un assegno che sia almeno di una volta e mezza il trattamento minimo (circa 800 euro mensili) per evitare che chi accettasse tale uscita troppo in anticipo si possa trovare poi in povertà più avanti. Entrambe le proposte prevederebbero un aumento da venti a venticinque anni dei contributi previdenziali per ottenere la pensione al raggiungimento dei 67 anni.

Sullo sfondo rimane infine la proposta della Lega che con Durigon pochi giorni prima delle elezioni europee ha rilanciato i famosi “41 per tutti indipendentemente dall’età anagrafica ma con tutto l’assegno calcolato con il metodo contributivo.

Vediamo quello che succederà in autunno sperando che ci sia una forte implementazione della previdenza complementare con un aumento significativo dell’importo da dedurre, maggiori detrazioni fiscali e minori tassazioni finali e un intervento sul TFS/TFR dei pubblici dipendenti perché ad oltre un anno dalla sentenza n. 130/2023 della Corte Costituzionale il Governo su questo argomento è ancora silente.

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