Strage di Marcinelle, la conversazione del Circolo “L’Agorà” | VIDEO

Si è svolta nella giornata di giovedì 8 agosto la conversazione sul tema "Nel 68° anniversario della strage di Marcinelle" organizzata dal Circolo Culturale "L'Agorà"

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Si è svolta nella giornata di giovedì 8 agosto la conversazione sul tema “Nel 68° anniversario della strage di Marcinelle” organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà”. Nel corso della giornata di studi, organizzata dal sodalizio reggino, saranno oggetto di analisi diverse cifre, relative agli eventi che si svolsero nella cittadina belga. Il nuovo incontro, predisposto dal sodalizio culturale organizzatore, ha registrato la presenza, in qualità di relatore, di Gianni Aiello, Presidente del sodalizio organizzatore. Nel corso della giornata di studi, organizzata dal sodalizio reggino, sono state oggetto di analisi diverse cifre, relative alla tragedia che si verificò nella mattinata di mercoledì 8 agosto, a Bois du Cazier, miniera di carbon fossile, nel territorio dell’allora comune di Marcinelle, vicino Charleroi, in Belgio.Il BoisduCazier fu la prima miniera in Vallonia, aperta nei primi decenni dell’Ottocento. La miniera del Bois du Cazier vide la luce nel 1822 grazie a Guglielmo I°, re dei Paesi Bassi, che accorda alla nobile Douairière Des Manet la prima autorizzazione di sfruttamento.

Nel 1955, la sua produzione ammontava a 170.557 tonnellate per un effettivo di 779 minatori. Disponeva di strutture alquanto vetuste e logorate dal tempo. Tale struttura carbonifera doveva cessare le attività di estrazione da molto tempo, ma il prezzo internazionale del carbone dopo il ’45 permetteva a questa vetusta miniera di rimanere attiva. La stessa era priva sia di estintori che di potenti bocche d’acqua in caso il verificarsi di incendi. I minatori non disponevano di un numero sufficiente di maschere antigas con l’ossigeno. La struttura era priva di vie di fuga, le porte stagne erano in legno. Tutte le strutture erano in legno mentre nelle miniere moderne era largamente utilizzato il ferro, così come l’ascensore era in legno e non in ferro come altre miniere. Il 23 giugno 1946 fu firmato il Protocollo italo-belga che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori in cambio di carbone.

Migrazioni

Nacquero così ampi flussi migratori verso il paese, uno dei quali, forse il più importante, fu quello degli italiani verso le miniere belghe. Nel 1956, fra i 142 000 minatori impiegati, 63 000 erano stranieri e fra questi 44 000 erano italiani. Tra il 1946 e il 1956 più di 140 mila italiani varcarono le Alpi per andare a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia. Era il prezzo di un accordo tra Italia e Belgio che prevedeva un gigantesco baratto: l’Italia doveva inviare in Belgio 2mila uomini a settimana e, in cambio dell’afflusso di braccia, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore.Il boom economico del dopoguerra aveva lasciato il Belgio con un bisogno disperato di manodopera e un accordo con il governo italiano aveva creato un corridoio preferenziale per l’arrivo di 50mila lavoratori. Il 23 giugno del 1946 viene siglato a Roma dal primo ministro De Gasperi e dal suo omologo Van Acker il protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani. In cambio di forza lavoro il governo belga s’impegna a vendere mensilmente all’Italia un minimo di 2.500 tonnellate di carbone ogni 1.000 minatori immigrati. La mano d’opera non deve avere più di 35 anni e gli invii riguardano 2.000 persone per settimana.

Il contratto prevede 5 anni di miniera, con l’obbligo tassativo, pena l’arresto, di farne almeno uno. Fra il 1946 e il 1957 in Belgio arrivano migliaia di lavoratori italiani completamente ignari di quel che li attende. Nei comuni italiani iniziano a comparire manifesti che informano della possibilità di lavoro. Per convincere le persone a emigrare vengono avviate in Italia diverse campagne pubblicitarie che presentano i vantaggi del trasferimento: pensionamento anticipato, carbone e viaggio in ferrovia gratuiti, buono stipendio, assegni familiari, ma per quanto riguarda le mansioni effettive si dice molto poco. Per convincere gli operai italiani a trasferirsi, il governo promosse una serie di campagne di comunicazione, soprattutto attraverso manifesti affissi per le strade, che pubblicizzano, tra i molti benefici del nuovo lavoro, salari elevati, carbone, viaggi in ferrovia gratuiti e assegni familiari. Nell’accordo agli italiani veniva promesso un alloggio e la frequentazione di un corso di formazione, ma una volta arrivati a Bruxelles dovettero fare i conti con una realtà ben diversa. Coloro che accettarono trovarono condizioni di vita e lavorative al limite della sopportazione.

In molti, infatti, vennero alloggiati nelle “cantines”, le baracche, dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra. Anche all’interno delle miniere le condizioni non erano migliori, con turni particolarmente duri e scarse misure di igiene e sicurezza.Tante promesse sui manifesti di color rosa… ma non era vero niente! Per esempio nei manifesti rosa della silicosi non c’era traccia. Così come non c’era traccia del terribile grisù, il gas che si sprigionava dalle pareti delle miniere e uccideva incendiandosi.Non a caso, tra il 1946 e il 1955 quasi 500 operai italiani morirono per cause direttamente collegate al lavoro in miniera. Infine, furono diversi anche i problemi di integrazione con la popolazione locale che non vedeva di buon occhio l’arrivo dei migranti. Al punto da negare, in gran parte dei casi, anche la locazione degli appartamenti, con cartelli espliciti che recitavano: “ni animaux, ni etranger”, “né animali, né stranieri”.Ma all’ombra dei trattati si aprirà il dramma di migliaia di lavoratori, che si troveranno ad affrontare durissime condizioni di vita e di lavoro, che susciteranno vane critiche dello stesso governo De Gasperi e saliranno drammaticamente alla ribalta alcuni anni dopo la sua morte, quando un incendio scoppiato nella miniera del Bois du Cazier di Marcinelle.

La storia

La mattina dell’otto agosto del 1956, 275 uomini erano scesi in quelle profondità che conoscevano così bene per raggiungere il loro posto di lavoro. Fu alle 8.10 che accadde la tragedia: un grande incendio si propagò per tutta la miniera. In quelle tragiche e tristi circostanze si registrarono le morti, dovute alle ustioni , il fumo, ed i gas tossici, 262 minatori di dodici diverse nazionalità, di cui 136 gli italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 algerini, 2 francesi, 3 ungheresi, 1 inglese, 1 olandese, 1 russo e 1 ucraino. Tra i 136 immigrati italiani, metà erano abruzzesi, e buona parte erano calabresi provenivano da Reggio Calabria, Cosenza, e da altre aree della regione. Tra le vittime calabresi si registrano i nomi di: Pietro Pologruto era nato a Petrizzi (Catanzaro) il 23 novembre del 1927, sposato. Delle quattro vittime, tre erano reggini: Vincenzo Sìcari, nato a Rosarno (Reggio Calabria) il 22 luglio del 1927, celibe; Pasquale Papa, nato a Reggio Calabria l’11 novembre del 1925, sposato con 4 figli ed Antonio Danisi, nato a Reggio Calabria il 21 gennaio del 1924, sposato con 4 figli.

E proprio quest’ultimo Antonio Danisi sul quale gli organizzatori si vogliono soffermare nella parte conclusiva della disamina. A tal proposito si riporta quanto effigiato sulla lastra tombale del nostro concittadino: Cristo è la mia speranza, la morte mi ha ghermito nella fossa mentre lottavo per il progresso dell’umanità. Possa il sacrificio di uomini di ogni parte del mondo insegnare ai superstiti a vivere da fratelli. Quanto in precedenza evidenziato, rappresenta un importante “documento” della memoria storica di un territorio “sfregiato” per l’indifferenza di chi dovrebbe invece occuparsi di tenerlo sempre vivo, valorizzarlo e farlo conoscere alle nuove generazioni.

Non essere capaci di appropriarsi della nostra esperienza corrisponde in fondo a non sapersi confrontare con le nostre eredità e la memoria storica riguarda tutti. Un territorio che non sà conservare con gelosia la sua memoria storica, è un territorio destinato al declino ed alla morte storico culturale locale. Lavorare sulla memoria significa estendere i confini e costruire sulla storia le basi del futuro. La memoria è il ricordo del passato e aiuta a far capire quello che è accaduto per non sbagliare nel futuro. Al di là delle frasi di circostanza e degli slogans di facciata, le autorità locali hanno il dovere di rendere omaggio alla memoria delle vittime della tragedia di Marcinelle. Queste alcune delle cifre che sono state oggetto di analisi da parte di Gianni Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”). La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da giovedì 8 agosto.

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