La donna scippata a Viareggio e il macellaio di Oliveto: stesse leggi, ordinanze opposte. Qual è la giustizia giusta? E si infittisce il mistero sui catanesi

Il caso di Cinzia Dal Pino, l'imprenditrice che ha ucciso il suo scippatore a Viareggio per recuperare la borsa, riapre la vicenda di Francesco Putortì, il macellaio di Reggio Calabria in carcere da tre mesi e mezzo per essersi difeso dai ladri in casa propria

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Ci sarà pure un giudice nel Ducato di Lucca, confinante con il Granducato di Toscana, per le vittime della mala giustizia del Regno delle Due Sicilie? O è quella del Sud la “giustizia giusta”, mentre il Tribunale di Lucca commette un errore? Di certo c’è che nel 2024, in Italia, con le stesse leggi, a distanza di pochi mesi due giudici hanno interpretato in modo opposto le norme emanando due ordinanze che stridono fortemente l’una con l’altra. Una delle due è clamorosamente sbagliata, e verrà ribaltata dai successivi gradi di giudizio. Chi sbaglia, Lucca o Reggio Calabria?

Oggi non possiamo dirlo, perchè sarà la legge a riconoscerlo. Ma un’idea ce l’abbiamo. Proviamo a ricostruire i fatti.

Cinzia Dal Pino, l’imprenditrice di Viareggio ha ucciso un ladro per recuperare la sua borsa e il giudice l’ha fatta subito uscire dal carcere

Sta facendo grande scalpore, da giorni, in tutt’Italia, la notizia della donna che a Viareggio, dopo aver subito uno scippo, ha inseguito il ladro investendolo più volte con la propria automobile finendo per ucciderlo. La signora, un’imprenditrice di 65 anni, ha recuperato la sua borsa ed è fuggita ma poi è stata identificata grazie alle telecamere di videosorveglianza e il video ha fatto il giro del mondo: Cinzia Dal Pino, titolare di uno stabilimento balneare in Versilia, è stata arrestata per l’omicidio di Said Malkoun, il 47enne algerino che le aveva rubato la borsa.

La donna, però, non è in carcere: appena poche ore dopo l’arresto, già nell’udienza di convalida del fermo, il giudice del Tribunale di Lucca ha accolto la richiesta dell’avvocato difensore e ha concesso gli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico. La donna rimane indagata e andrà a processo con l’accusa di omicidio volontario. Il giudice, nell’ordinanza, ha scritto che “potrebbe reiterare il reato”, giustificando così il provvedimento della detenzione domiciliare e del braccialetto elettronico, ma comunque ha deciso che non è necessario tenere la signora ristretta in prigione.

Giova precisare che la donna ha dapprima schiacciato il ladro contro la vetrina di un negozio per poi fare retromarcia e passare di nuovo altre due volte sul suo corpo, come mostra inequivocabilmente il video delle telecamere di videosorveglianza. Quando ha compiuto questo gesto, la donna non era in pericolo, ha agito per recuperare la borsa rubata e quindi non per legittima difesa, e non si trovava nella propria abitazione o in una propria proprietà. Sono dettagli molto importanti da evidenziare, anche alla luce del fatto che nonostante tutto questo la signora è diventata una sorta di paladina della giustizia e della legalità in modo particolare in quei settori di società che considerano a prescindere i ladri in torto, anche qualora dovessero perdere la vita uccisi dalle loro vittime. Tra questi, il ministro Matteo Salvini che ha commentato così: “La morte di una persona è sempre una tragedia e la giustizia dovrà fare il proprio corso. Questo dramma, però, è la conseguenza di un crimine: se l’uomo che ha perso la vita non fosse stato un delinquente, non sarebbe finita così. Voi cosa ne pensate?“, alimentando il dibattito. Insomma, c’è persino – e non sono pochi e non sono emarginati della società – chi ritiene che anche i domiciliari e il braccialetto elettronico siano troppo severi per la signora, perchè un ladro è in ogni caso un criminale e se muore è il rischio del mestiere, mentre le sue vittime sono sempre vittime anche in caso di reazione estrema e non andrebbero neanche perseguite, a maggior ragione dopo aver subito il furto o l’aggressione o qualsiasi altro gesto criminale.

Senza neanche entrare nel merito di quanto succede nel Ducato di Lucca… cioè a Viareggio, è importante e clamoroso sottolineare l’abisso di quanto succede contemporaneamente nel Regno delle Due Sicil… cioè a Reggio Calabria.

Il precedente del macellaio di Oliveto, a Reggio Calabria

Mentre la signora di Viareggio attende in casa il giudizio e riceve sostegno pubblico e apprezzamento, nelle carceri borboniche del Sud Italia da oltre tre mesi e mezzo si trova ristretto un uomo perbene, un onesto lavoratore, un 48enne senza precedenti penali. Si tratta di Francesco Putortì, in carcere ad Arghillà (Reggio Calabria), nella sua città, da fine maggio. E’ in galera, strappato dai propri affetti, dalla propria famiglia e dal proprio lavoro, perchè ha provato a difendersi dai ladri che avevano fatto irruzione a casa sua, nella frazione collinare di Oliveto. Putortì li ha sorpresi tornando in casa, evidentemente prima rispetto a quanto i manigoldi se lo aspettassero, e quindi si è sentito minacciato e ha preso un coltello da cucina. Dimenandosi per difendersi durante la successiva colluttazione, ha ferito i ladri che sono fuggiti correndo. Dopo 40 minuti, uno dei due è morto abbandonato dai complici nel parcheggio di un Ospedale privo di pronto soccorso. Nessuno sa cos’è successo in quei 40 minuti, chi e cosa ha provocato la morte del ladro deceduto. Non c’è alcuna prova certa che sia morto per le ferite cagionate da Putortì. Ma Putortì è comunque in galera, da tre mesi e mezzo.

Gli avvocati difensori, Giulia Dieni e Natale Polimeni subentrato a Maurizio Condipodero, presidente del CONI Calabria e grande amico di Putortì, hanno già chiesto più volte una misura alternativa ma il Tribunale di Reggio Calabria, evidentemente ancora sotto il Regno delle Due Sicilie o comunque ignaro delle norme del Ducato di Lucca (che però dal 1861 sono le stesse!), le ha sempre negate. Adesso i legali stanno preparando un’altra istanza di modifica della misura cautelare, chiedendo di sostituire il carcere nella libertà o in via gradata nei domiciliari o nell’applicazione del braccialetto elettronico. Lo faranno proprio alla luce del caso di Viareggio, sperando che il Ducato di Lucca, e cioè – oggi – un altro Tribunale della Repubblica italiana, possa fare giurisprudenza. E comunque creare un caso: è possibile che in Italia la giustizia possa fare un peso e due misure così diverse? Quale credibilità può avere questo Stato? Questa magistratura? Questa giustizia?

Sulla carcerazione preventiva del povero macellaio di Oliveto, considerata assurda non solo dai suoi legali ma anche da molti osservatori e addetti ai lavori anche sui media nazionali, c’è già depositato un ricorso in Cassazione che verrà discusso a ottobre. Se però il gip dovesse accogliere la nuova richiesta formulata alla luce dell’ordinanza di Viareggio, contestualmente cadrà il ricorso in Cassazione. Giova precisare che ci riferiamo esclusivamente alla carcerazione preventiva, perchè è scontato che Putortì andrà a processo e nessuno sostiene che sia sbagliato. Sarà la giustizia a ricostruire i dettagli di quanto accaduto e a fornire le definitive sentenze. Intanto, però, c’è un abisso enorme tra attendere la legge in galera o poter stare nella propria abitazione. Soprattutto per una brava persona come Putortì che a fine maggio ha subito questo guaio ma mai, prima, in 48 anni, aveva avuto problemi con la giustizia e quindi avuto dimestichezza con certi ambienti e determinate dinamiche tipiche della malavita. Per uno come lui, il carcere è un prezzo ancora più alto da pagare. Totalmente spropositato rispetto a quanto accaduto.

L’inchiesta sui ladri catanesi di Oliveto: si infittisce il mistero. Chi è il basista?

Intanto l’inchiesta sul furto a casa di Putortì prosegue, e il mistero si infittisce. La Polizia sta cercando di fare piena luce sulle modalità del furto: com’è possibile che una banda di ladri catanesi arrivasse in una piccola e isolata frazione sulle colline della periferia di Reggio Calabria con un’unica strada di accesso? E’ ormai data per scontata la presenza di un basista in zona, e la Polizia sta lavorando per individuarlo. A Oliveto si conoscono tutti, i residenti sono pochi e molto uniti, come hanno dimostrato alla fiaccolata per Francesco Putortì, a cui è seguita una raccolta fondi per aiutare la famiglia che ad oggi supera i tre mila euro. La Polizia sta stringendo il cerchio su eventuali figure del paese che abbiano origini catanesi, vagliando ogni dettaglio su possibili precedenti penali e sull’eventualità che questi stessi avessero modo di conoscere le abitudini e gli spostamenti della famiglia di Putortì in modo da indicare ai complici come e quando agire indisturbati.

Con la concomitanza di questi tre elementi, il cerchio si stringerebbe di molto sui responsabili e quindi sulla verità rispetto a quanto accaduto. Una verità che potrebbe così spiegare anche altri, numerosi, furti che nel corso degli ultimi anni hanno coinvolto tante altre povere famiglie proprio di Oliveto. Persone che attendono ancora giustizia, con la speranza di trovarla a casa propria senza doversi appellare ai Tribunali del Ducato di Lucca.

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