di Bruno Copat * – È ormai a tutti noto, che l’impalcato del Ponte sullo Stretto, conosciuto internazionalmente come il Messina Type, è stato copiato e realizzato per altri ponti sospesi, ed ancor oggi sta continuando ad essere adottato nelle nuove progettazioni di ponti a grande luce. Questo però non è il primo caso, come vedremo, in cui la tecnologia e le difficoltà costruttive sono state copiate da un manufatto progettato e realizzato nella Città di Messina.
Storia e sviluppo di Messina, non possono prescindere dall’evoluzione della zona falcata – Zancleon. I momenti di maggior successo economico, militare e politico della città, hanno sempre coinciso con la centralità della zona falcata.
I primi coloni greci, seguendo una strategia logistico militare, più volte felicemente adottata, in altri insediamenti, colonizzarono in primo luogo la zona falcata. Sia come porto naturale ideale, ma anche per la facilità di alaggio delle imbarcazioni e la difendibilità immediata dei primi insediamenti. Se poi ci riferiamo a Stefano di Bisanzio, la presenza di una sorgente di acqua dolce, rendeva il sito di importanza strategica incommensurabile (STEFANO DI BISANZIO, s, v. Zάγxλη. Cfr. Bérard., Navigations,IV, pp. 409-10). Riscontri di emergenze idriche di acqua dolce sono riportati in numerosi documenti storici, ma non solo, riscontrata anche dal progetto di bonifica da me firmato.
Il porto nella sua parte interna è sicuramente dissimile dalla morfologia originaria, ma è certo che la geometria esterna della falce negli ultimi 2500 anni non ha subito nessuna modifica, tranne che per riporti antropici che hanno ingombrato la linea di costa. La fruibilità attuale del porto si deve soprattutto a Carlo V, che nel timore di un interrimento progressivo del porto, di cui s’intravedevano i primi segni, decise di modificare con un’imponente opera idraulica, il corso del torrente Portalegni, che nel suo deflusso naturale sfociava all’altezza dell’attuale edificio che ospitava la sede centrale del Banco di Sicilia. Alla luce dei risultati ottenuti, sembra che abbia funzionato. Era inevitabile che un così importante porto, commerciale e militare non avesse un luogo per la manutenzione e riparazione dei navigli. Fu così deciso di costruire un bacino di carenaggio.
La più grande e complessa opera d’ingegneria della città è stata proprio la realizzazione del bacino di carenaggio, tuttora in esercizio, dopo ben 147 anni dalla sua inaugurazione nell’anno 1876 (due anni prima della Torre Eiffel).
Per la facilità di alaggio delle imbarcazioni dovuta a una progressiva diminuzione e regolare della profondità delle acque, era già utilizzata per effettuare in sicurezza piccole riparazioni al riparo di correnti o mareggiate. L’area prescelta presentava una rientranza allungata e per questa ragione si decise di ubicare la struttura in quel punto.
È difficile ricostruire l’evoluzione delle fasi costruttive del bacino di carenaggio, molti documenti storici non sono reperibili. La sua realizzazione fu decisa nel 1862, e trovandosi notevoli difficoltà sia ingegneristiche che burocratiche (lentezza dei finanziamenti) il bacino con dimensioni, lunghezza107metri, larghezza. 25 metri, profondità 8,40 metri., fu inaugurato solo nel 1876.
Le difficoltà tecniche furono altresì una grande sfida, per la prima volta si adottarono soluzioni d’avanguardia sia sulla metodologia di avanzamento e stabilizzazione dello scavo, che per i macchinari progettati in loco, copiati per la realizzazione di altri bacini di carenaggio italiani ed europei. L’accuratezza della progettazione e della realizzazione ha permesso alla struttura di sopportare in buona sostanza integra ben due terremoti. La struttura del bacino fu lesionata leggermente, con il terremoto del 1894, mentre con il terremoto del 1908 si ebbero danni alla sala delle macchine ed alla volta delle gallerie di esaurimento e si ebbe il crollo del fumaiolo della sala macchine, posta a – 14 metri sotto il livello del mare. La cavea di contenimento del bacino rimase integra con qualche lesione modestissima nell’emiciclo, ancora visibile. Non vi fu nessun fenomeno di liquefazione dei terreni di fondazione in ragione della presenza di litologie compatte.
Il grande assente
Conosciamo nel dettaglio la geologia di della Citta di Messina e dello Stretto, ma per una sorta di miope presunzione degli odierni geologi, poco consociamo della falce, snobbata da tutti i nuovi ricercatori come una semplice accumulo di sedimentazione di sabbie trasportate dalle correnti dello stretto.
Lo studio geologico dello Stretto di Messina, se pur oggetto di approfondite indagini geostrutturali, ha tralasciato di approfondire l’area della zona falcata. Essa però appare la più interessante per la risoluzione delle problematiche geologiche non ancora risolte dello Stretto. Pochi fatti certi, ma per nostra fortuna la serietà e perizia numerose ricostruzioni di oculatissimi geologi del primo novecento permettono di ricostruire l’evoluzione morfologica, e quindi geologica, della zona falcata.
Questi ed altri riscontri documentali, fanno escludere l’ipotesi più accreditata di una zona falcata formata dal gioco delle correnti e dei venti che hanno modellato i sedimenti. In un pregevole lavoro che possiamo definire di “paleogeologia” datato 1909, l’ing. Franchi, redige un rapporto per la commissione reale, istituita dopo il terremoto del 1908, per definire la natura dei terreni della città, anche in funzione della sua ricostruzione. L’attendibilità e l’accuratezza di questo lavoro scientifico ci permettono ancora oggi il riscontro di alcune indicazioni geologiche da noi successivamente rinvenute nell’area del bacino di carenaggio.
Di notevole significato risultano altresì le relazioni di prof. Baratta, dell’ing. Ghersi, dello Spallanzani, De Saussure e dell’ing. E. Cortese, rapporto affine a quello del Franchi, ma con ulteriori informazioni storiche che accrescono il quadro conoscitivo degli effetti del terremoto del 1908.
Si deve dare atto al Baratta che riassumendo le sue indagini con quelle degli altri ricercatori, propone una sezione geologica che collega il centro abitato di Messina con la zona falcata, sostenuta da un nucleo di roccia consistente sulla quale si sono adagiati i sedimenti recenti, per altro in alcune zone cementati. Indipendentemente dalla litologia descritta dal Baratta questo collegamento è certamente esistente, non si spiegherebbero in altro modo le emergenze idriche di acqua dolce della falce.
* Bruno Copat, geologo dell’Università di Catania