Una decisione sicuramente forte e che probabilmente non farà altro che alimentare un dibattito già controverso. Stiamo parlando di Venera Leto, componente dell’Ordine degli Architetti di Messina che ha deciso – attraverso una lettera aperta – di comunicare la sua decisione. Quale? Quella di lasciare l’ordine stesso, dopo quasi 20 anni, per via della posizione assunta in merito al tema Ponte sullo Stretto.
Due settimane fa, infatti, il Presidente dell’Ordine Pino Falzea interveniva sull’argomento, evidenziando che “chi ha un ruolo istituzionale dovrebbe lasciare le proteste ad altri ed impegnarsi nel far sì che quanto previsto dalle leggi sul Ponte, se il progetto otterrà le approvazioni di rito, possa restituire alle comunità una Regione più competitiva nell’ambito degli scambi commerciali del Mediterraneo, una Città metropolitana più attrattiva per gli investitori nel settore del commercio e del turismo, la città di Messina ripensata in funzione delle tante opere che il progetto ‘Ponte sullo Stretto’ prevede siano costruite”. In soldoni, un modo elegante per spiegare che la città di Messina deve essere protagonista di un’opera che può cambiare il suo futuro. Per le proteste, insomma, non c’è tempo. Non per gli Architetti.
La lettera
Non è d’accordo Venera Leto. “Dopo le dichiarazioni del Presidente dell’ordine degli Architetti in nome della categoria a proposito del ponte sullo Stretto mi sono profondamente interrogata sul mio essere architetto ed esserlo qui in questa città. “Le proteste le lasciamo agli altri” esordisce il Presidente, sottolineando il ruolo istituzionale: ma agli altri chi? Chi se non gli architetti dovrebbero protestare contro un’opera così fuori contesto rispetto al nostro territorio, un’opera così devastante rispetto al paesaggio e così distratta rispetto ai già fragili equilibri ambientali e sociali? Io sono un architetto e le proteste non le lascio agli altri proprio perché ho la sensibilità, la cultura e le competenze per comprendere l’entità dello scempio che si sta perpetrando ai danni della città. Della mia città”, comincia la missiva dell’Architetto.
“Non è forse il ruolo dell’architetto quello di ascoltare i bisogni di una comunità e farsene portavoce trasformandoli in realtà? Non dovremmo forse rivedere il ruolo ormai più che anacronistico dell’archistar e abbandonare definitivamente le grandi opere per ritornare ad un’architettura più semplice ed a volte anche immateriale? Non dovremmo piuttosto mettere in pratica la partecipazione sociale rafforzando le reti e le relazioni? Non dovremmo essere facilitatori per una cittadinanza attiva e educarla a prendersi cura dei luoghi e dei suoi paesaggi? Non dovremmo smettere di costruire in una città già sovracementificata? Non dovremmo piuttosto potenziare le infrastrutture carenti da quelle idriche ai trasporti? Non dovremmo valorizzare e creare spazi verdi e recuperare l’esistente? Questo dovrebbe fare un architetto in una città come Messina e, sicuramente a mio avviso, non appoggiare il ponte e le opere ad esso connesse”.
“Dolorosa la sensazione che in questo sperpero di denaro pubblico che sta avvenendo ormai da decenni la mia categoria speri di accaparrarsi qualche spicciolo. Cantieri, opere collaterali, subappalti: purtroppo è questa “l’unica opportunità” che mi viene in mente. Una promessa di lavoro per un mestiere ormai umiliato e svilito ancora spauracchio del colore politico. L’istituzione deve rappresentare l’interesse di categoria, ma anche la professionalità e la dignità di quest’ultima. E io quel dovere istituzionale lo conosco da vicino perché per 5 anni sono stata Consigliere dell’Ordine e anche per questo sento l’urgenza di assumere una posizione”.
“La mia categoria non mi rappresenta e io non posso che dissentire rifiutandomi di appartenervi. Per questo scelgo di cancellarmi dall’ordine professionale dopo quasi 20 anni (lo sarebbero stati nel 2026) di iscrizione: perché ho una dignità professionale e una responsabilità morale nei confronti di questa città e del futuro di questa città. Confido che queste mie riflessioni siano esempio o almeno oggetto di riflessioni per altri e concludo citando le parole di Lèon Krier: “Proprio perché sono architetto non costruisco”, si chiude la lettera.