Pubblica amministrazione, ripartire dal basso: i comuni alla base del vero rilancio del Paese

Se capita, come è successo di recente, di chiedere che un lavoro pubblico venga affidato ad un comune anziché ad una società attrezzata per realizzare una grande opera, come il Ponte sullo Stretto, significa che non a tutti è nota la situazione in cui versano i comuni italiani

StrettoWeb

I comuni italiani, questi sconosciuti. Se capita, come è successo di recente, di chiedere che un lavoro pubblico venga affidato ad un comune anziché ad una società attrezzata per realizzare una grande opera, come il Ponte sullo Stretto, significa che non a tutti è nota la situazione in cui versano i comuni italiani. Strano che a farlo sia stato proprio un consigliere comunale, nella fattispecie messinese, chiedendo di specificare quali opere collegate al Ponte fossero di competenza della Stretto di Messina e quali del comune, augurandosi che quest’ultimo assumesse la responsabilità di un buon numero di esse.

PNRR

Chi segue le vicende del PNRR, dopo essersi meravigliato della gran quantità di opere del Piano assegnate ai comuni, non si sta certo meravigliando dello stato di avanzamento deludente delle stesse. Allo stesso modo, non ci meravigliamo dello stato manutentivo delle opere di competenza comunale. Attenzione: qui non si parla di piccoli comuni, ma anche e soprattutto di grandi città. A Palermo, per mantenere in esercizio il Ponte Corleone sulla circonvallazione, arteria di primaria importanza non solo per la città ma per tutta la Sicilia occidentale, il Comune ha pregato in ginocchio l’ANAS perché se ne occupasse prima che fosse troppo tardi. Ed è così che in poche settimane è stato fatto quello che si attendeva da oltre 20 anni, ovvero una manutenzione straordinaria delle strutture portanti del ponte.

Di ponti di competenza comunale, d’altronde, ce ne sono decine di migliaia in tutta Italia, e molti di questi sono chiusi al traffico. Un po’ perché si tratta di opere obsolete, con oltre 100 anni di onorato servizio, ma soprattutto perché non hanno mai ricevuto la manutenzione necessaria, anche ordinaria.

I comuni, soprattutto al sud, peccano in tutto il loro sistema infrastrutturale

Ma i comuni, soprattutto al sud, peccano in tutto il loro sistema infrastrutturale: strade, fognature ed acquedotti. Strutture, queste ultime, agli onori della cronaca in questa calda estate, quando d’improvviso si scopre che oltre la metà dell’acqua immessa in rete si perde in condotte colabrodo di cui i comuni spesso ignorano il tracciato, le dimensioni e persino i materiali di cui sono fatte. E che, in mancanza di una “governance” unica, offrono spesso il modo di approfittare di posizioni “dominanti”, come avviene per le condutture che passano in un certo territorio comunale e dovrebbero servire altri comuni: chi controlla la quantità d’acqua deviata verso un centro abitato lungo il tragitto? Ogni riferimento alla recentissima diatriba Taormina-Messina è puramente voluto, ma lo stesso discorso potrebbe farsi per decine di altri comuni siciliani.

Delle condizioni degli impianti sportivi forse è meglio non parlarne, visto che si tratta di una problematica antichissima che non può essere affidata, come regolarmente avviene, all’iniziativa di questo o quel comune. Abbiamo situazioni, in Sicilia, in cui una realtà di poche migliaia di abitanti si costruisce il suo palazzetto dello sport o la sua piscina comunale a cento metri da strutture identiche, ma appartenenti al comune confinante, magari ancor più piccolo. Il risultato arriva puntuale dopo qualche anno, con la chiusura di tutte, o quasi, queste strutture, impossibili da gestire per realtà incapaci di sostenerne la gestione.

Risorse economiche

Non parliamo di risorse economiche, quelle si trovano. Per realizzare queste strutture i fondi europei si sprecano, letteralmente; spesso vengono restituiti alla UE con tante grazie, non essendo in grado di portare a termine la progettualità necessaria. Chi conosce la realtà degli uffici tecnici comunali, nelle piccole grandi e persino grandissime realtà, sa di cosa parliamo. Spesso mancano le professionalità per redigere i progetti, oppure non ci sono le competenze per farlo. E se si ricorre all’esterno, non si è in grado di controllare il lavoro svolto dai professionisti incaricati, spesso fatto di corsa perché “non possiamo perdere il finanziamento”.

Anche per la gestione le risorse si trovano: basterebbe far pagare le tasse ai cittadini, laddove la riscossione di TARI, IMU e persino delle bollette del servizio idrico sono una chimera. Spesso sottovalutate da una politica di scarsissimo livello, troppo attenta al consenso per esigere quanto dovuto dai cittadini-elettori.

In ogni caso, si può ricorrere all’intervento privato. Ma anche in questo caso occorrono professionalità “interne” adeguate e preparate, perché non si può chiamare Pinco Pallino ed affidargli la piscina o lo stadio comunale: occorre redigere un bando, selezionare un concessionario o valutare un ”promotore” nel caso, molto complesso, che si ricorra al Project Financing. Ciò che avviene spesso all’estero ma che in Italia diventa complicatissimo, a causa di norme a dir poco astruse, nonché di funzionari poco formati.

Evitiamo di addentrarci in altre materie (cimiteri, nettezza urbana) per carità di patria, pur nella consapevolezza che la maggior parte dei disagi riscontrati dai cittadini vengono da lì: una incapacità amministrativa ormai diffusa nella P.A., soprattutto ai livelli più bassi. E che trascende, è giusto dirlo, la colorazione politica di chi ne occupa il vertice.

Altamente improbabile, soprattutto nelle città del sud, che cambi qualcosa con l’elezione di un nuovo sindaco, a parte i proclami

E’ ormai altamente improbabile, soprattutto nelle città del sud, che cambi qualcosa con l’elezione di un nuovo sindaco, a parte i proclami. Perché anche cambiando completamente la parte politica, il nuovo arrivato si ritrova a dover manovrare la stessa macchina che aveva reso problematica la sindacatura precedente. E si tratta di macchine complesse, piene di ingranaggi poco lubrificati, che non hanno alcuna voglia di girare. Il personale è quantitativamente insufficiente, mal formato ed ancor meno motivato; le rendite di posizione sono tante, ed è un problema semplicemente scalfirle.

Un problema anche politico, perché certe posizioni garantiscono potere, ed il potere condiziona la stessa politica, dalla quale dipende il capo dell’amministrazione. Un cortocircuito che porta, come naturale conseguenza l’impossibilità di realizzare promesse troppo facilmente elargite ai cittadini. Questi ultimi, a loro volta, perdono fiducia in chi hanno votato, ingrossando le fila di chi a votare non ci va più: l’astensionismo crescente è la prova provata di questa disastrosa spirale che porta dall’inefficienza alla sfiducia, che colpisce gli organi amministrativi più vicini ai cittadini.

La soluzione? Difficile da immaginare se non si pensa ad una coraggiosa, profonda, radicale riforma, dai comuni a salire, della Pubblica Amministrazione: che dovrebbe finalmente essere sottratta a clientele, favori e familismi vari, alla base del degrado crescente che abbiamo descritto sopra; che veda nel merito e nella competenza l’unica maniera per scegliere dirigenti e figure apicali; che gestisca la formazione per quella che è, non come un modo per foraggiare altre clientele, favori e familismi vari.

A cominciare da un’alta Scuola della Pubblica Amministrazione da rendere obbligatoria a chiunque voglia occupare un ruolo, anche il più banale, all’interno della macchina amministrativa. A prescindere dal titolo posseduto, perché difficilmente, nelle scuole di ogni ordine e grado, anche universitario, si impara a scrivere una delibera, un bando di gara o un capitolato d’appalto.

Utopia? Certo, nell’attuale scenario politico, lo è. Quante volte viene trattato su giornali, telegiornali e siti di informazione il quadro volutamente sintetico che abbiamo appena rappresentato? Quante volte ne parlano i nostri politici, anche in Parlamento?

Non conviene farlo: è roba che non porta voti e rischia di far aprire gli occhi sui veri problemi della gente. Meglio riempire i media con le solite polemiche sterili, magari sulla carne sintetica o sugli ormoni di un’atleta.

 

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