Le vicende legate alla scelta del tracciato per la linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria ad Alta Velocità suscitano nell’opinione pubblica interrogativi piuttosto inquietanti sul ruolo della tecnica in scelte fondamentali per lo sviluppo dei territori e di un intero paese. La linea ferroviaria in questione, peraltro, ricadendo in un corridoio europeo della rete Core TEN-T assume una grande importanza anche su scala continentale.
Già la scelta del tracciato per la tratta Battipaglia-Praia a Mare aveva suscitato le proteste, non certo ingiustificate, degli abitanti del Cilento, che da almeno 150 anni ospita il principale corridoio di collegamento dell’estremo sud e della Sicilia al resto d’Italia e d’Europa. Ma il corridoio del Vallo di Diano è passato, al punto che già si lavora su uno dei tre lotti che lo compongono.
La prosecuzione del tracciato da Praia fino a Reggio Calabria, invece, continua a tenere banco dividendo chi preferirebbe un tracciato “a monte” lungo la valle del Crati fino a Cosenza, per poi spostarsi verso il Tirreno in direzione di Lamezia Terme, e chi invece vuole mantenere la linea interamente sulla costa tirrenica, come avviene già per la ferrovia convenzionale esistente. Ipotesi, quest’ultima, che sembra ormai aver prevalso, fortunatamente.
La sensazione, in questo caso, è che la responsabilità di tanto clamore ricada su una scelta errata sin dall’inizio, forse partorita da tecnici troppo sensibili alle pressioni provenienti dal mondo politico, in grado di condizionarli, e non poco. Difficilmente, con ragionamenti squisitamente tecnici, si sarebbe pervenuto ad un tracciato come quello “cosentino” che allunga di 40 km il percorso complessivo della linea. Una scelta che incrementa i tempi di percorrenza ma anche i costi, non soltanto per i km di linea in più, ma soprattutto per le difficoltà geomorfologiche del territorio, che avrebbero costretto la ferrovia ad attraversare per due volte la catena montuosa che si frappone tra la valle del Crati e la costa tirrenica.
Tracciato
Tracciato su cui, incredibilmente, si era puntato ai tempi della ministra De Micheli e che era preferito fino ad un anno fa, quando venne fuori la poco sorprendente scoperta delle sopra citate difficoltà geomorfologiche. Fra le comprensibili proteste dei cosentini e lo giubilo degli abitanti della costa.
Che ognuno dei due percorsi sia sostenuto dai cittadini e dai politici che ne trarrebbero giovamento, è nell’ordine delle cose, e risponde ad interessi concreti comprensibilissimi; ma sorprende, e preoccupa, che tale diversa visione sia motivo di contrapposizioni partitiche a livello nazionale. Atteggiamenti del genere derivano, infatti, dalla subordinazione del modello di sviluppo complessivo a particolarismi che mal si conciliano con lo sviluppo equilibrato di un Paese.
Peraltro, la decisione dell’UE di realizzare prima i grandi assi (Rete centrale) – che, ovviamente, uniscono i grandi centri – e solo 20 anni dopo, completare la Rete globale, che consente di raggiungere i centri minori, non deriva da scelte improvvisate ma da approfonditi studi di storia dell’Economia dei Trasporti. Nella consapevolezza che i singoli collegamenti secondari costano meno dei grandi assi e vengono alimentati da questi ultimi. Allungare il percorso dell’AV e renderlo molto più costoso per passare da Cosenza favorisce certamente i cosentini ma tradisce la visione europea.
Logica
Lasciando perdere il campanilismo, dovrebbe essere la logica, oltre che la buona tecnica trasportistica, a dettare le scelte. Spetta ai tecnici proporre le alternative tecniche del progetto, che devono essere tutte sostenibili, da un punto di vista tecnico, ambientale e di rapporto costi/benefici; alternative che vanno sottoposte al territorio ed ai politici, a cui è giusto lasciare, in un Paese democratico (e non tecnocratico), la scelta finale scegliere.
Una metodologia fortunatamente trasformata in Legge, dal momento che il Codice dei Contratti Pubblici, in tal senso, parla chiaro e prevede per Opere Pubbliche di una certa importanza lo strumento del “Dibattito pubblico”. Durante il quale deve essere messo a disposizione dei cosiddetti “stakeholders” il Progetto di fattibilità Tecnica ed Economica (PFTE) che contempli le diverse soluzioni. Queste, ovviamente, devono essere tutte giustificate tecnicamente e dotate di un’analisi costi/benefici positiva.
Viceversa, se le scelte sulle Grandi Opere vengono imposte dalla politica ai tecnici ed ai territori, penalizzando quelli meno tutelati dai potenti di turno, siamo di fronte ad una patologia del sistema democratico. Che svilisce il ruolo dei tecnici ma, soprattutto, penalizza i tanti a favore dei pochi.