L’Università Mediterranea, la biodiversità e la nascita del vino: il ruolo della Calabria nell’affascinante ricerca di respiro internazionale

L'Università Mediterranea di Reggio Calabria tra le protagoniste di un'interessante studio - pubblicato anche su "Science", in merito alla nascita della vite

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La Calabria è terra di agricoltori. La Calabria è terra di agricoltura. La Calabria ha un suo ruolo, specifico e strategico, nell’ecosistema. Con i suoi terreni, con le sue coltivazioni, con le sue eccellenze. E quindi è bene scoprire, sapere, conoscere, informarsi, recuperare il più possibile quello che è un patrimonio inestimabile, perché “un frutteto con i suoi genotipi unici che si brucia oggi non si recupera mai più”. Questa frase è di Francesco Sunseri, Docente del Dipartimento di Agraria all’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Proprio il Professore e l’Ateneo, infatti, si sono resi protagonisti, un anno e mezzo fa, di una interessante e affascinante ricerca sulla nascita e origine della vite coltivata. Come? “Entrando” nei vitigni calabresi, e comparando i vitigni locali con quelli internazionali, hanno dimostrato i reali centri di domesticazione, maggiori luoghi di biodiversità per la vite. Con l’obiettivo di evidenziare l’importanza – per la Calabria e l’agricoltura calabrese – proprio della biodiversità, assolutamente da salvaguardare. Lo studio, di respiro internazionale, oltre che aver fatto il “giro d’Italia” è stato anche pubblicato sull’autorevole rivista “Science”. E’ guidato dal gruppo internazionale a sua volta guidato dall’Università agraria cinese dello Yunnan, Laboratorio statale di genomica agraria di Shenzhen e Accademia Cinese delle Scienze di Pechino, con la collaborazione italiana delle Università di Milano, Milano-Bicocca e Mediterranea di Reggio Calabria, del Centro nazionale per la biodiversità (Nbfc) di Palermo e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).

Il Prof Sunseri e le scoperte sulla “domesticazione della vite, avvenuta due volte”

L’origine e la domesticazione della vite, avvolte per molto tempo in un mistero di difficile decifrazione, risalgono a circa 11 mila anni fa, grazie a due differenti eventi di domesticazione separati geograficamente circa 1.000 km, avvenuti in Asia occidentale e nella regione del Caucaso meridionale. Le due aree di massima biodiversità della specie non sono molto distanti dal Bacino del Mediterraneo che oggi viene considerato il crogiuolo della migliore vitivinicoltura mondiale.

Nonostante eventi disastrosi, “il nostro studio ha dimostrato che esiste ancora una riserva di biodiversità nelle popolazioni di vite selvatica, della sottospecie sylvestris, ancora presenti in Italia ed in Calabria, non edibili ma preziose per la società moderna perché contengono geni che offrono resistenza alle malattie e ai cambiamenti climatici”, ha dichiarato Francesco Sunseri, coautore del nuovo studio.

“Ma il nostro studio ha fornito soprattutto una svolta sorprendente sulla storia della domesticazione della vite, dimostrando che tale evento è avvenuto due volte prosegue Francesco Sunseri – entrambi gli eventi si sono verificati nello stesso periodo, uno nella regione del Caucaso, l’attuale Georgia, ed uno nell’Asia occidentale; l’evento del Caucaso sembra abbia dato origine ai primi vitigni da vino, mentre l’evento dell’Asia occidentale è stato utile a selezionare i primi vitigni da tavola”. Sorprendentemente, “questi ultimi si sono poi incrociati con viti selvatiche locali per selezionare i vitigni da vino più famosi d’Europa, compresa la Magna Grecia, che include la Regione Calabria”.

“Infine, è stato dimostrato che l’aumento degli scambi commerciali hanno favorito il commercio di cultivar superiori tra le regioni euroasiatiche e ciò è risultato particolarmente evidente nelle cultivars italiane che condividono tre o più parentele genetiche con altre cultivars, ponendo le basi per uno studio definitivo della grande biodiversità vitivinicola italiana con la sfida a districare la storia genealogica di molte cultivar, peraltro già ben avviata in precedenti lavori degli stessi autori italiani”.

Lo studio

Utilizzando un enorme dataset di 2.448 genomi di vitigni (unici, a partire dai 3.500 sequenziati) raccolti da 23 istituzioni in 16 nazioni del mondo, nel lavoro recentemente pubblicato è stato stabilito che gli eventi glaciali hanno diviso le popolazioni di vite selvatiche in ecotipi orientali ed occidentali. Questa divisione tra ecotipi non era stata mai identificata in precedenti lavori di domesticazione della vite. I due eventi di domesticazione sembrano essere avvenuti contemporaneamente ma distinti tra loro, sebbene la distanza tra le due regioni sia contenuto in circa 1.000 km.

I risultati condotti dall’equipe di ricerca sembrano dimostrare l’emergere di forme multiple di domesticazione nei vari territori, in cui gli interscambi tra esseri umani potrebbe essere stato un fattore chiave nel promuovere il flusso genico. In che misura i geni responsabili della domesticazione possano essere stati trasportati grazie all’azione umana tra diverse popolazioni viticole o siano stati presenti nelle popolazioni selvatiche è una domanda ancora aperta, e le future risposte renderanno definitivamente chiaro il ruolo dell’azione umana nella domesticazione della vite.

L’evento di domesticazione nel Caucaso meridionale ha avuto una diffusione ed un’influenza molto limitata, ma la domesticazione del Vicino Oriente è arrivata a dominare la viticoltura Euroasiatica, stabilendo quattro grandi gruppi di vitigni coltivati in Europa. Si stima che l’evento sia avvenuto 11,5 mila anni fa, contemporaneamente alla comparsa dei cereali, ed è molto interessante che l’epoca di separazione tra i quattro gruppi coincide con la diffusione iniziale del Neolitico in Europa.

E’ di estremo interesse che queste datazioni appaiono più precoci di diverse migliaia di anni sia per origine che per diffusione rispetto a quanto indicato dai dati archeologici sulla morfologia dei semi distinti tra domesticati e selvatici. La datazione precedente all’atteso potrebbe indicare lo sfruttamento di forme selvatiche. Infatti, a differenza dei cereali, la vite aveva popolazioni selvatiche in Europa dalle quali si potevano selezionare individui/popolazioni adattate. Il flusso genico dalle popolazioni selvatiche alle forme domesticate sarà stato inevitabile, visto la facilità di ibridazione tra le due forme, determinando sia nuove varianti per l’adattamento ai nuovi areali sia la ricomparsa di tratti selvatici. Tale introgressione adattativa è in genere associata a un cambiamento d’uso del prodotto e nella vite sono stati introgrediti caratteri di adattamento all’ambiente quali stress idrico e resistenza alle malattie.

Purtroppo, tali introgressioni hanno coinvolto anche tratti selvatici che hanno compromesso, almeno in parte, la commestibilità, passando presumibilmente da forme “da tavola” a quelle “da vino” con acini più piccoli, buccia più spessa e contenuto zuccherino inferiore. Queste caratteristiche, più simili a quelle delle uve selvatiche, hanno reso tali “nuove” forme più adatte alla vinificazione ma meno attraenti per il consumo fresco, ecco che le complicate dinamiche della domesticazione della vite ha favorito la “nascita” del vino. La scoperta che gli adattamenti naturali all’ambiente sono alla base della transizione verso le “forme” da vino sollecita curiosità su quanto questi cambiamenti siano stati forzati dalla selezione naturale piuttosto che dall’uomo.

La maggiore risoluzione delle regioni genomiche della vite ha individuato i geni responsabili di alcuni caratteri importanti quale il passaggio dalle uve rosse alle bianche, ha suggerito che l’antico sapore del moscato non è molto diffuso tra le antiche forme, forse a causa di aspetti pleiotropici che ne impedisce la fissazione del carattere. È stato infine dimostrato che le differenze genomiche sono fondamentale per comprendere i cambiamenti funzionali osservati nei vitigni domesticati rispetto ai loro progenitori selvatici. Infine, i maggiori scambi commerciali hanno favorito il commercio di cultivar superiori lungo le rotte commerciali e tra le regioni euroasiatiche ciò è particolarmente evidente nelle cultivars italiane che condividono tre o più parentele genetiche con altre cultivars, ponendo le basi della grande biodiversità italiana con la sfida a districare la storia genealogica di molte cultivar, peraltro già avviata in precedenti lavori italiani.

Vite uva
Foto Ansa
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