L’articolo “Perchè Catania è migliore di Palermo: la città etnea più avanti del capoluogo in tutti gli indicatori | DATI” pubblicato su StrettoWeb il 5 Ottobre ha suscitato una raffica di reazioni, più o meno calzanti nel merito del contenuto dell’articolo. Tra queste, merita ampia considerazione quella posta da Roberto Di Maria, ingegnere civile trasportista, Dottore di ricerca in Infrastrutture viarie, socio del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiano e di Rete Civica per le Infrastrutture e Responsabile Trasporti dell’Associazione Difesa ed Orientamento Consumatori (ADOC) per la Sicilia.
“Pregiatissimo Direttore“, scrive Di Maria. “Ho letto con molto interesse il suo articolo in cui confronta Palermo a Catania, molto ben scritto ed approfondito. Per un cinquantenne palermitano che vive da oltre 25 anni a Catania e dintorni, come può comprendere, l’argomento è particolarmente interessante, essendomi capitato spesso di dover fare paragoni fra le due realtà“.
“Le dico subito – prosegue Di Maria – che ne condivido per gran parte il contenuto. Da anni evidenzio pubblicamente la condizione di marginalizzazione del capoluogo siciliano, soffermandomi, in alcuni miei articoli, su quello che conosco meglio: i trasporti. I lavori attualmente in corso per la rete ferroviaria ad Alta Capacità lo dimostrano in maniera tangibile, con l’abbandono della tratta diretta sulla costa tirrenica per un itinerario che raggiunge Palermo, da Messina, attraverso Catania, allungando di circa 130 km il viaggio. Di altri paragoni, dal punto di vista della mobilità ferroviaria, ho già trattato e le prometto un contributo scritto in tal senso“.
“In ogni caso, la mia città natale non ne esce bene. La centralità catanese nel settore dell’economia è palese, gli indicatori non sono contestabili. La carenza infrastrutturale palermitana si evidenzia a livello internazionale, più che regionale, grazie al poco invidiabile posizionamento al primo posto in Italia e decimo al mondo nella graduatoria del tempo passato al volante dai cittadini. Sugli altri indicatori si può discutere, come si può precisare qualcosa sulla condizione delle rispettive aree metropolitane (Monreale e Bagheria non sono distanti ma praticamente adiacenti a Palermo) ma ritengo che Lei abbia fornito un confronto assolutamente realistico“.
“Mi consenta solo un appunto: nella Sua approfondita analisi non tiene sufficientemente conto della storia, soprattutto per quello che ciò comporta nell’attuale condizione delle due città. In particolare, per quanto riguarda Palermo, il suo passato da capitale non è proprio un dettaglio, ed è alla base di un immenso patrimonio artistico ed architettonico che, pur tra degrado ed abbandono, la città custodisce come uno scrigno nel centro storico più esteso d’Europa“.
“L’epopea gloriosa dei Florio, che ci è stato recentemente ricordato da una serie televisiva di successo, si svolgeva in una città ancora florida nei commerci che si arricchiva ulteriormente di capolavori architettonici impareggiabili: fra questi, quello che ancora oggi è il primo teatro, per grandezza, d’Italia, superato in Europa solo da Vienna e Parigi. Una dotazione, anche culturale, che consentiva alla città di confrontarsi su ambiti che andavano ben al di là del territorio siciliano. Qualcosa di cui occorre tener conto, frutto di una storia di cui la città dovrebbe andare orgogliosa“.
“Tuttavia, nel periodo tumultuoso del “sacco” edilizio del dopoguerra, tra “deportazioni” nei quartieri periferici, immigrazione interna e criminalità mafiosa, Palermo ha perso di vista il suo ruolo di capitale siciliana, anche nella percezione dei suoi stessi cittadini, spesso di prima generazione. E non ne è più stata all’altezza, anche a causa di una classe politica sempre più scadente. Ciò, da palermitano, aumenta il rammarico per quanto sta succedendo, e non tanto nel confronto con i cugini della Sicilia orientale“.
“Ma mi consegna una speranza: che da questo enorme patrimonio si possa prendere il meglio, usandolo come “brand” per rilanciare l’immagine della città. E’ quello che, in una certa misura, sta già avvenendo, e che non deve riguardare soltanto il turismo: si pensi, ad esempio, ai prodotti della sconfinata tradizione culinaria, che possono essere alla base di una solida industria alimentare“.
“A Catania va riconosciuto il merito di emergere da una posizione tradizionalmente subalterna, con la pervicacia di chi, non potendo vantare un passato altrettanto florido, aspira ad una posizione di rilevo nel futuro. La città etnea si è inserita quindi nello spazio liberato dal degrado di Palermo, guadagnando una posizione di rilievo, sempre più centrale nella vita dell’isola, grazie all’innegabile intraprendenza dei suoi abitanti. E facendo leva, come ricordava Lei, su una posizione geografica più baricentrica rispetto al territorio regionale: non deve meravigliare affatto, ad esempio, che l’aeroporto di Fontanarossa superi il Falcone-Borsellino per traffico, ormai da molti anni“.
“Anche in questo caso, la qualità della classe politica ha avuto la sua importanza nella crescita della città. Ma la politica, come sappiamo, è espressione della società, e si evolve, o si involve, con essa“.
“Al di là dei campanilismi, il suo confronto, Direttore, può servire a far riflettere noi siciliani sul futuro non tanto delle due città, ma della regione in cui esse si collocano. Purtroppo, questo confronto è al ribasso, perché, come abbiamo letto, entrambe le città perdono posizioni rispetto alle altre realtà italiane ed europee, con le quali è necessario confrontarsi per comprendere, fino in fondo, la drammatica condizione di arretramento che interessa tutta la nostra regione. Una Sicilia sempre più marginalizzata ed esclusa dai flussi internazionali economici, produttivi e, per conseguenza, culturali“.
“Quale futuro può esserci in una terra che vede partire oltre 50.000 giovani ogni anno? Quali energie dovrebbero rilanciare le sorti della nostra terra? Quale sviluppo può avere una regione fisicamente scollegata dal resto del mondo, che assiste inerme all’eterno dibattito “ponte si-ponte no” a proposito di un’infrastruttura che dovrebbe esistere da almeno 30 anni? Che futuro può esserci in una terra che non riesce a gestire le risorse idriche nonostante 46 invasi (di cui, però, 26 non ancora collaudati)? E’ questa la sfida che dobbiamo affrontare per il futuro. Se riusciremo a vincerla, a Palermo come a Catania, ma anche nel resto dell’isola, ci sarà tempo per paragoni più appaganti fra le due principali città siciliane. Magari per verificare chi si avvicina di più agli standard delle principali città europee.
Con stima
Roberto Di Maria”.
Ringraziando l’amico Roberto per le riflessioni poste in continuità con l’articolo dei giorni scorsi, apprezzo in modo particolare il riferimento al Ponte sullo Stretto che è la chiave di volta per lo sviluppo della Sicilia a prescindere dalle dinamiche sociali, economiche e politiche interne al territorio isolano.