Il nuovo asse ferroviario da Alta Capacità Messina-Catania-Palermo è un’opera di dimensioni colossali che, di fatto, comporta un salto tecnologico di 150 anni per la rete ferroviaria siciliana. Un intervento del quale, probabilmente, non è stata colta l’entità, che metterebbe a dura prova la capacità logistica e produttiva di qualsiasi territorio, figuriamoci di un’isola non assistita da un tessuto produttivo all’altezza dello sforzo da profondere.
Insomma, tanta roba, forse troppa che ci faceva porre, già nel luglio 2023 la domanda: il territorio è pronto?
Problemi per le gallerie, ma siamo ancora all’inizio
Gli interventi in corso sulla Messina-Catania, da Giampilieri a Fiumefreddo (2 lotti) e sulla Palermo-Catania (6 lotti), che non sono semplicemente dei raddoppi ferroviari delle linee esistenti ma, sostanzialmente, nuove linee ferroviarie, comportano un impegno economico complessivo di circa 12 miliardi di euro. Una spesa che, tutta insieme, non si era mai vista in Sicilia, e che ha rari precedenti in Europa.
Lavori che comportano opere d’arte molto complesse, con la previsione di 24 TBM all’opera contemporaneamente; per chi non lo sapesse, le TBM (Tunnel Boring Machine) sono quelle enormi “talpe meccaniche” utilizzate per scavare le gallerie. Allo stato attuale soltanto sull’asse ad Alta capacità ce ne sono 5, tra quelle al lavoro e quella in fase di assemblaggio. Quindi siamo ancora all’inizio, ma i nodi vengono già al pettine.
Sulla Messina -Catania (42 km da raddoppiare) ci sono già difficoltà per le due TBM impegnate nello scavo della galleria “Taormina” e della galleria “Sciglio”: la prima rallentata da agitazioni sindacali, la seconda addirittura alle prese con tracce di arsenico nel terreno proveniente dallo scavo.
Sulla tratta Palermo-Catania i problemi che si cominciano a presentare sono tali da far sembrare bazzecole quelli appena citati. Qui i km di nuova ferrovia da realizzare sono quasi 142 (al netto della Bicocca-Catenanuova già ultimata, che entrerà in esercizio fra pochi mesi) e le gallerie da scavare davvero tante, quasi tutte tra Catenanuova e Fiumetorto, e quasi tutte a “doppia canna”, ovvero costituite da due tunnel, uno per senso di marcia.
Si pensi alla galleria “Trinacria” di 13,5 km, tra Caltanissetta ed Enna ma soprattutto a quella più lunga, la galleria “Alia” di circa 20 km, dove di TBM ne serviranno ben 4, due per tunnel. In totale, i km di gallerie da scavare ammontano a 57, ovvero 114 km, considerando ogni singola canna.
Le TBM che saranno utilizzate sono delle vere e proprie fabbriche di gallerie, e richiedono uno sforzo impiantistico notevolissimo. Come ogni grande fabbrica, hanno bisogno di risorse in grande quantità. Parliamo di energia elettrica, risorse umane specializzate, materiali.
Se per la prima ancora non si registrano problemi, ma supponiamo che si verificheranno quando le “talpe” entreranno a regime, già si sta facendo di tutto per trovare il personale specializzato. O meglio, per formarlo, dato che in Sicilia sono già partite da tempo le selezioni e la stessa formazione, segnatamente in un’apposita struttura a Belpasso. A farlo, ovviamente, è Webuild, che di è aggiudicata tutti i lotti, tranne uno, previsti sull’asse siciliano ad Alta Capacità.
Dove prendere l’acqua?
Ma quello che più preoccupa gli addetti ai lavori è l’approvvigionamento dei materiali, in particolare dell’acqua. In periodo di crisi idrica in tutta l’isola, non si tratta affatto di un problema da poco.
Va detto, infatti, che il materiale scavato viene mischiato con una soluzione di acqua e tensioattivi già nella camera di scavo, ovvero nell’intercapedine che si forma tra la testa fresante ed il fronte di scavo, proprio per poterlo recuperare e condurre all’esterno. E già questo, insieme alla grande quantità di acqua necessaria a confezionare i calcestruzzi per realizzare i conci e le strutture connesse al funzionamento della futura galleria, dà un’idea delle quantità da reperire.
Volumi che sarebbero normali in un’area interessata da attività industriali complesse, che necessitano sempre di risorse idriche cospicue. Non al centro della Sicilia, dove le aree industriali sono da tempo in disarmo e le infrastrutture di stoccaggio e trasporto dell’acqua sono ridotte ai minimi termini, come ci raccontano le cronache dei razionamenti nella distribuzione degli ultimi mesi, proprio nelle zone interessate dai lavori. La siccità, ovviamente, non aiuta, ma con l’attuale dotazione di opere idrauliche, il problema si porrebbe anche in condizioni ordinarie, soprattutto al centro esatto della Sicilia.
Stabilito quindi che queste aree non dispongono di risorse idriche in grado di sopperire alle esigenze di questi cantieri, Webuild ed RFI si stanno organizzando. Ma non è facile. Si sta pensando, addirittura, di prendere l’acqua dal depuratore dell’area industriale di Termini Imerese. Il problema da superare è che bisogna realizzare circa 150 km di acquedotto, per far arrivare il prezioso liquido fino ai cantieri di Dittaino, nell’ennese.
Una condotta che si sta ipotizza di porre ai margini della ferrovia esistente, che passerebbe da tutte le aree di cantiere, esistenti e future. In compenso, sarebbe difficile coniugare l’esercizio ferroviario con la presenza della tubatura, ciò che potrebbe richiedere la chiusura della linea, con gravi ripercussioni su tutto il traffico ferroviario non solo tra Palermo e Catania, ma su molte altre relazioni interne alla Sicilia. E per molti anni: il termine per concludere i lavori su tutto l’asse AC è il 2029, ma è più che probabile un suo slittamento almeno al 2032.
Insomma, opere ferroviarie indispensabili per il territorio che, però, non lo hanno trovato preparato. Quelli sopra elencati sono soltanto alcuni dei problemi da risolvere, per i quali non bisognerebbe contare soltanto sui tecnici. Le istituzioni locali, che rimangono a guardare e che, di certo, non ignorano quanto sta succedendo, dovrebbero fare la loro parte.