Uno sforzo per le pensioni

In questi giorni il Governo si appresta a presentare in Consiglio dei Ministri e poi al Parlamento la legge di Bilancio dove saranno contenute alcune decisioni che riguardano il complicato mondo della previdenza

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In questi giorni il Governo si appresta a presentare in Consiglio dei Ministri e poi al Parlamento la legge di Bilancio dove saranno contenute alcune decisioni che riguardano il complicato mondo della previdenza. Ogni qualvolta ci si appresta a queste importanti decisioni si viene investiti su giornali ed in TV da tutta una serie di dati che affermano che la previdenza in Italia costa troppo, che il sistema rischia di saltare a causa del fatto che si fanno pochi figli e che l’aspettativa di vita aumenta, che ci sono troppi pensionati, che i giovani saranno costretti a lavorare ben oltre i 70 anni e poi riceveranno una pensione che sarà la metà del loro stipendio, che la previdenza complementare non riesce a decollare e che la previdenza rischia di diventare nei prossimi decenni “una bomba sociale” di cui non sono prevedibili le conseguenze.

Tutte cose vere ma su cui si può intervenire subito per evitare che si verifichino. Per questo motivo il Governo Meloni non dovrebbe limitarsi a rinnovare per un altro anno le misure in scadenza il 31 dicembre come “Ape Sociale, Quota 103 e Opzione Donna” ma dovrebbe fare un serio progetto di riforma previdenziale operativo dal 1/1/2025 non rimandando ulteriormente una problematica che va invece affrontata subito per evitare quanto sopra evidenziato.

Per prima cosa dovrebbe attuare quello che molti economisti affermano e che è sempre stato rimandato vale a dire la separazione effettiva tra previdenza e assistenza con la prima finanziata con i contributi versati dai lavoratori attivi e la seconda finanziata con la fiscalità generale (tasse e imposte versate da tutti i cittadini). Facendo questa semplice e fattibile operazione si vedrebbe subito che il costo della previdenza in Italia che ora è al 15,7% del PIL scenderebbe al 12% in linea con gli altri grandi Paesi Europei.

Bisognerebbe poi diversificare in base ai mestieri l’età del pensionamento. In Italia al momento si va in pensione tutti alla stessa età di 67 anni ma non si può minimamente equiparare, per esempio, chi svolge un lavoro impiegatizio con chi invece lavora nell’edilizia, sulle strade o in agricoltura. Partendo da questo aspetto della diversificazione, per esempio molti mestieri faticosi potrebbero essere pensionati a 64 anni mantenendo gli altri a 67 anni. Consentire, poi, una flessibilità volontaria con incentivazioni e penalizzazioni mettendo il lavoratore al centro delle scelte previdenziali. Il costo di chi volesse volontariamente uscire prima dal mondo del lavoro sarebbe compensato da coloro i quali restassero, invece, oltre l’età ordinamentale di pensionamento. Da fare assolutamente poi la liberalizzazione di chi si è pensionato con le varie “Quote” togliendo quella antipatica norma dei 5.000 euro di lavoro autonomo occasionale che tanto ha fatto discutere in questi anni con persone che per aver lavorato un solo giorno hanno dovuto restituire all’INPS tutto l’importo di un anno della propria pensione. Uno sforzo poi andrebbe fatto per i giovani con l’istituzione di una pensione di garanzia e nei confronti delle donne togliendo quelle penalizzanti norme che fanno assimilare Opzione Donne all’Ape Sociale.

Il Governo potrebbe partire da queste poche intuizioni e fare uno sforzo fin da subito per mettere chiarezza in un ambito quello previdenziale molto complesso ed intricato, dare certezze ai lavoratori e spazzare le nubi di cui si sente parlare troppo spesso a proposito di pensioni.

 

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