Nel primo pomeriggio di ieri il giornalista Klaus Davi, come è ormai noto, è stato circondato e aggredito da un cinquantina di frequentatori della moschea di Viale Jenner a Milano. Gli uomini volevano sequestrargli l’attrezzatura e un referente della moschea ha tentato di sottrargli una telecamera utilizzata per le interviste realizzate per strada incentrate sulle elezioni Usa e l’orientamento dell’opinione pubblica di religione musulmana. Il giornalista si è rifiutato a più riprese di consegnare il materiale e si è rifugiato in un bar pochi metri distante dall’affollatissimo luogo di culto.
Il folto gruppo di arabi lo ha inseguito nel locale e ha continuato ad aggredirlo e insultarlo. Dopo pochi minuti di alta tensione, nel bar sono entrati tre agenti della questura di Milano che hanno prelevato il giornalista e lo hanno tradotto lontano dal luogo dell’aggressione. L’auto di servizio della polizia è stata bersagliata da calci e pugni di alcuni frequentatori della moschea provocando danni alle portiere e alla maniglia.
“Milano è fuori controllo – ha commentato il giornalista – ha subappaltato intere zone alla criminalità organizzata sia italiana che araba. Quei giovani sono stati mandati da un capo cosca arabo. Mi auguro che ora, oltre a parlare tutto il tempo delle presunte trame del Mossad, a Milano si possa far luce sulle associazioni mafiose che gestiscono alcuni di questi centri culturali e davanti alle quali lo Stato in questi anni è sembrato arrendersi per buonismo o sottovalutazione. È vero che sia io che gli agenti abbiamo rischiato la vita (come gli stessi poliziotti – che ringrazio – hanno ribadito a più riprese nel corso della fuga in auto dalla moschea) ma è anche vero che qualcuno deve pur mostrare cosa è diventata la mia città. Per cui andrò avanti con le mie inchieste finché qualcuno prenderà provvedimenti seri”, ha concluso Davi.