Perché la Reggina non è una corazzata: i “nuovi-vecchi” alibi e la solita propaganda

La Reggina non è una corazzata, nonostante la propaganda filo-societaria inculchi questo: il pari di Agrigento smonta l'euforia e porta di nuovo Pergolizzi sulla graticola

StrettoWeb

“E allora sì, propaganda…” cantavano due anni fa Fabri Fibra, Colapesce e Di Martino. Propaganda, propaganda, cara, vecchia ma sempre attuale. E’ come il vino, non scade mai. A Reggio Calabria ormai ci hanno preso la mano in tanti. Da molti anni la sanno utilizzare bene, dalla politica allo sport. Talmente bene che funziona, più o meno. Pensate: un Sindaco è riuscito a farsi rieleggere, nonostante il primo mandato fallimentare, al grido di “Reggio non si lega”. E poi la sua stessa Amministrazione ha scelto una proprietà, quella attuale della Reggina, che dopo un anno e mezzo di risultati disastrosi ancora fa credere a qualcuno che la squadra sia una corazzata. Ma quando mai!

E’ il binomio politica-calcio, che a Reggio Calabria non era mai stato sfiorato in oltre 100 anni di storia, perlomeno in questi termini. Hanno raccontato alla città che Ballarino era la scelta giusta, vincente e ambiziosa, in ottica futura; hanno raccontato alla città che avrebbero stravinto la Serie D e poi la Serie C, in due anni; che avrebbero costruito corazzate con grandi attaccanti da 20 gol a stagione e allenatori che Conte e Gasperini andate a zappare. Qualcuno ancora ci crede. Da qui l’idea che la propaganda abbia funzionato. Abbiamo aggiunto “più o meno” perché se oggi Viola e Domotek hanno più seguito e più trasporto – di entusiasmo, numeri e calore – un motivo ci sarà. Eppure anche Viola e Domotek, nel basket e nel volley, sono nella quarta e terza serie rispettivamente. Ma quando c’è visione di progettualità, ambizione “concreta” (coi fatti e non a parole), zero inciuci con la politica, la gente ci crede di più, ha più fiducia, si rivede in quei valori che hanno permesso allo sport reggino di eccellere a cavallo del nuovo millennio.

Ora il problema è di nuovo Pergolizzi

Tornando alla Reggina, invece, c’è chi ancora crede che il problema sia Rosario Pergolizzi, l’allenatore. Chi crede che sia solo lui, solo e soltanto lui. Pensano che abbia in mano più o meno l’attacco del Real Madrid, la gestione della palla del Manchester City, la difesa del Milan di Sacchi e quegli sprazzi di calcio totale dell’Olanda di Crujff. Ovviamente non è così. La Reggina non è una corazzata. Non lo era l’anno scorso e non lo è quest’anno. Non lo è mai stata. E’ stata la propaganda filo-societaria, accompagnata da una stampa compiacente – e permalosa quanto Ballarino – a far credere a una parte di piazza che fosse così. Si è sempre pensato che dei figli del Sant’Agata – di 15 anni fa, quindi oggi ultra 35enni – che hanno fatto la Serie C, la Serie B e qualcuno anche qualche presenza in Serie A – potessero rappresentare i componenti di una corazzata.

Eppure StrettoWeb non oggi, dopo il pari con l’Akragas, ma dopo tre vittorie di fila – in tempi non sospetti, una settimana fa, dopo il tris al Paternò, quindi in una situazione opposta – scriveva questo. Scriveva che la Reggina non è una corazzata e non potrà mai stradominare il campionato di Serie D. Eppure dovrebbe, secondo quelle che erano le scelte, le premesse e le promesse, le tante parole (poi al vento). Qualcuno ci ha creduto, dopo le vittorie contro Enna e Paternò, manco fossero Barcellona e Bayern Monaco. All’improvviso ci si è dimenticati delle sconfitte con le uniche due squadre forti finora affrontate – Scafatese e Siracusa – e delle prestazioni inguardabili con Igea Virtus, Ragusa e Acireale.

La penultima, in quest’ultimo caso, e l’Akragas ultimo. Con le ultime due in classifica la Reggina ha messo a segno un solo punto. Un disastro. Una squadra che da business plan oggi avrebbe dovuto stravincere la Serie C si ritrova invece in D, per il secondo anno di fila, raccogliendo un solo punto contro le ultime due della classe. E in un caso soprattutto, il primo tempo di ieri, poteva anche stare sotto di 3 reti. Per mezz’ora soprattutto, Barillà e compagni non c’hanno capito niente, ribaltando la tesi – sempre di quelli che credono alla propaganda – che bastasse cambiare modulo, passando al 4-3-3, per risolvere tutti i problemi e diventare invincibili.

La realtà è che nel momento in cui la squadra amaranto incontra un avversario che mantiene ritmi e baricentro alto, buona intensità e organizzazione, non regge. E non regge perché non possiamo pensare che diversi ultra 35enni, considerati dai più lussi per la categoria perché 15 anni bazzicavano dalle parti del Sant’Agata con un futuro promettente, possano reggere determinati ritmi in una categoria in cui serve, innanzitutto, correre. Perlopiù inseriti in un contesto in cui si ritrovano ogni settimana con dettami diversi, all’interno di una rosa extralarge con circa 30 elementi.

Come si vince la Serie D

E chi l’ha composta la squadra? Pergolizzi? Che colpe ha Pergolizzi? Quella di aver firmato il contratto con questa società, certo, e poi basta. Gli hanno affidato una rosa con un attaccante che veniva dall’Eccellenza, con uno che è già un ex per via di un problema burocratico di cui erano a conoscenza – e che avevano sottovalutato – e con uno che doveva sfondare le reti e finora ha segnato solo tre gol. Ma c’è di più. Starebbero anche pensando di reintegrare Rosseti, soprattutto per riconoscenza e in virtù dei 40 gol segnati l’anno scorso.

E queste sarebbero colpe di Pergolizzi? Perché il problema per i tanti era lui, poi dopo le tre vittorie di fila è diventato un fenomeno e oggi è di nuovo sulla graticola. Ma insomma: un po’ di equilibrio. La Serie D, lo diciamo da tanto, si vince con giocatori di Serie D. Con difensori di categoria, con centrocampisti completi, integri e dinamici, ma soprattutto con attaccanti forti, furbi e ignoranti, che conoscono non solo la Serie D, ma anche i gironi meridionali. Perché le gambe non devono tremare, perché la personalità deve essere ai massimi livelli, perché è così che funziona. E invece il bomber amaranto con più reti, Barranco, ha lo stesso numero di gol delle riserve della Scafatese (Albadoro e Potenza), mentre i vari Foggia e Maggio lo hanno già doppiato, quasi triplicato.

E queste, ancora, sarebbero colpe di Pergolizzi? Ok la confusione, ok una gestione complessa, ok i cambi di formazione e qualche sostituzione discutibile, ma la colpa è ancora, sempre e comunque di una società che ci ha capito poco, che pensa che basti ingaggiare vecchie glorie mai dimenticate per vincere la Serie D e convincere la gente che questa sia una corazzata. E invece poi scopriamo che, nelle gare non vinte, quindi quelle in cui c’è da recuperare un risultato, la Reggina ha segnato solo un gol, con Girasole, per caso, contro l’Acireale. E poi scopriamo anche che, in mancanza di alternative all’attacco spuntato, si sappiano creare solo occasioni da piazzato o casuali (vedi ieri ad Agrigento).

E il fatto che la Reggina non sia una corazzata si nota soprattutto dai numeri dell’attacco. Da inizio anno è evidente che manchi un bomber vero, forte, trascinatore, per vincere la Serie D anche due. A Reggio non ce n’è neanche uno. Ma la colpa è di Pergolizzi perché è la società – che ora magicamente afferma di non averlo messo in discussione – ad aver inculcato alla piazza questa ipotesi. Un alibi bello e buono per proteggersi, come accaduto l’anno scorso con Trocini. Ma allora, se il problema è lui, perché non lo esonerano? O, ancora meglio, perché non comprano un attaccante fortissimo? O dovremmo ricordare la frase del delegato Uefa Spinella e la metafora di “questi che dormono a 800 euro nei sottoscala e che mangiano nelle pentole?”.

Non crediamo che succederà. Anche perché dobbiamo vergognosamente ascoltare le dichiarazioni di un patron, Ballarino, il quale afferma che ad Agrigento la Reggina ha giocato una grande partita. Un pari in casa dell’ultima in classifica, in Serie D, per il secondo anno di fila, è una grande partita. Ma cosa abbiamo fatto di male?

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