Ponte sullo Stretto: dopo il “si” della commissione ambientale, lo strano “no” della Cgil

Ponte sullo Stretto: sorprende la Cgil si scagli con tanta veemenza contro un’opera che porterà lavoro e sviluppo

StrettoWeb

Dopo l’emissione del parere della Commissione Tecnica di Valutazione dell’Impatto Ambientale del Ministero dell’Ambiente sul progetto definitivo del Ponte sullo Stretto, abbiamo assistito a reazioni molto stizzite da parte dei “No Ponte” di tutti i tipi. Siamo ormai abituati alle invettive di chi si oppone a quest’opera pubblica che, più che tale, è da tempo diventata un simbolo. Un totem contro il quale scagliarsi, tenendo unite, per un attimo, forze che fra loro hanno poco o nulla in comune, nel tentativo di serrare le fila di una parte politica che ha enormi difficoltà ad ergersi come vera e propria alternativa all’attuale governo. Anche perché, essendoci già stata, al governo, ha dato pessima prova di sé.

Cgil

Quello che più sorprende è vedere associata alla galassia nopontista una forza che, in teoria (ma sappiamo da almeno mezzo secolo che non è così) dovrebbe essere distinta da partiti e movimenti di opinione. Difficile in tal senso rimanere impassibili di fronte alle dichiarazioni degli esponenti della CGIL, che hanno definito il Ponte “opera inutile” “pericolosa e molto costosa”.

Basterebbe rilevare, a fronte di questi giudizi, che le grandi opere pubbliche sono costose, ma si fanno lo stesso, perché è stato dimostrato, in fase progettuale, che i loro benefici sono ben superiori alla spesa: occorre farlo per Legge. Per il Ponte lo si sa da almeno 30 anni, ovvero da quando il primo progetto preliminare è stato approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (1994) che ha avviato l’appalto dell’opera, valutandone utilità e sicurezza mediante calcoli e dati tecnici, non certo in nome di una appartenenza politica.

Il Ponte farebbe crescere lavoro e benessere nelle due regioni più svantaggiate d’Italia

Appare incredibile che il sindacato che fu di Giuseppe Di Vittorio si scagli contro un’opera pubblica che farebbe crescere lavoro e benessere nelle due regioni più svantaggiate d’Italia. Dove gli stessi sindacati chiedono da decenni infrastrutture che consentano alle imprese per le quali lavorano i loro iscritti di essere competitive con quelle ubicate in territori più fortunati. Scongiurando, in questo modo, la chiusura di fabbriche ed aziende e costringendo i malcapitati alla cassa integrazione o, semplicemente, ad emigrare.

Il Ponte non è alternativo a queste infrastrutture ma ne fa parte, ed a pieno titolo. Non esisterebbe un corridoio Scandinavo-Mediterraneo senza Ponte. E senza Ponte non ci sarebbe modo di attivare, in Sicilia, l’integrazione logistica che può rilanciare la portualità, risorsa mai implementata come si dovrebbe e che potrebbe, da sola, reggere l’economia dell’intera isola. Che insieme a Gioia Tauro, Taranto, Salerno ed altri porti meridionali, dove di iscritti alla CGIL ne lavorano certamente tanti, costituirebbe un polo in grado di intercettare l’approdo verso l’Europa delle grandi portacontainer dirette dal Far East a Rotterdam.

Senza contare che, senza Ponte, non ci sarebbe Alta Velocità in Sicilia, ma neanche in Basilicata e Calabria. In queste ultime regioni, infatti, nessuno si sarebbe sognato di programmare la Battipaglia-Reggio Calabria AV se non ci fosse un collegamento diretto con un’isola abitata da 5 milioni di persone all’estremità meridionale della linea. Mi illudevo, in tal senso, che al principale sindacato italiano interessasse un sistema di trasporto che dovunque è stato realizzato ha comportato un incremento del PIL superiore del 10% rispetto alle aree non servite.

Pendolari

Non si contano, poi, i pendolari (anche iscritti alla CGIL, presumo) che quotidianamente attraversano lo Stretto per raggiungere il posto di lavoro sulla sponda opposta. Il Ponte consentirebbe loro di farlo in pochi minuti, grazie al servizio metropolitano che verrebbe attivato; anche meno dei 20 che la segretaria del PD ha dichiarato, in una memorabile diretta sui social, sufficienti per attraversare lo Stretto. Ma che in genere se ne vanno, in media, solo nell’attesa del traghetto, che infatti parte ogni 40 minuti.

Ed è così che ci siamo ritrovati i rappresentanti del sindacato più grande d’Italia a fianco degli espropriandi del Ponte, in Sicilia come in Calabria, preoccupatissimi per la sorte delle loro famiglie. Dimenticando che la maggior parte di costoro tutela le proprie seconde case, realizzate su un territorio che oggi si ritiene “violato” dai piloni del Ponte, ma che nessuno ha pensato di tutelare prima che venisse invaso dal cemento.

Poco importa se questi espopriandi, ben lungi dal finire in mezzo una strada (abbiamo letto e sentito anche questo!), verranno risarciti con indennità che supereranno di gran lunga il valore di mercato delle loro abitazioni, prime o seconde che siano, e che prevedono anche il “disagio” subito e le spese di trasloco. Non proprio un trattamento da proletari, quindi, per chi invece rappresenta quella borghesia che è sempre stata un bersaglio prediletto del sindacato, specie se di ispirazione socialista.

Ancor meno sembra essere preso in considerazione da questi novelli difensori della proprietà privata (quella per eccellenza, ovvero la casa, per giunta seconda) il beneficio per chi in Sicilia e Calabria ci lavora o spera di lavorarci, in un futuro in cui la connettività finalmente raggiunta potrebbe risollevare, una condizione di svantaggio economico di cui il sindacato, una volta, si preoccupava eccome.

Con tutta evidenza, queste inspiegabili prese di posizione derivano da una mutazione quasi genetica di chi è passato, in pochi decenni, dalle barricate a difesa dei lavoratori contro i fascisti (quelli veri e non quelli immaginari, spesso evocati in questi giorni) a quelle a difesa dei proprietari di casa contro le Opere Pubbliche.

Inutile spiegare a costoro che le Opere Pubbliche, Ponte compreso, non sono né di destra né di sinistra: chi ne usufruisce lo fa a prescindere dalla tessera che ha, o non ha, in tasca, o da chi vota o meno. E che non possono divenire, a scapito dei lavoratori, uno dei tanti strumenti che alimentano la sterile contrapposizione di parte a cui ci ha abituato, purtroppo, la politica nostrana.

Concetti spesso rammentati anche da autorevoli esponenti della sinistra, molto vicini al sindacato, seppur sottovoce e con poco risalto su giornali e TV. A riprova che il buon senso, fortunatamente, non è ancora monopolio di una parte politica.

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