La questione migranti ha avuto un peso specifico importante nel programma elettorale di Donald Trump. Il neo eletto presidente USA ha parlato di difesa dei confini, di importazione di criminali e criminalità, di necessità degli Stati Uniti di rafforzare i controlli alle proprie frontiere e rispedire nei rispettivi Paesi di provenienza tutti gli immigrati irregolari presenti sul suolo americano.
Né più e né meno di quanto è stato fatto nelle precedenti amministrazioni americane di fede politica opposta, nonchè di altri Paesi nel resto del mondo, Italia compresa. Eppure, sulla scia del famoso “saluto romano” di Elon Musk, c’è chi ha avuto l’ardire di paragonare i provvedimenti di rimpatrio firmati da Trump con le deportazioni della Germania Nazista. Facciamo chiarezza.
Il termine deportation: il vero significato e la traduzione ‘errata’ che fa più comodo
Il linguaggio di Donald Trump, ormai non dovrebbe stupire ma è giusto ribadirlo ulteriormente, va compreso. Il tycoon ha sempre fatto della sua comunicazione dirompente la sua arma vincente, fatta di toni sopra le righe, provocatori, altisonanti. Ai quali poi hanno fatto seguito azioni di tenore decisamente inferiore.
Ecco quindi che quando Donald Trump parla di “migrants deportation”, parla di un normalissimo rimpatrio di migranti. I suoi detrattori parlano invece di “deportazione”. Nella puntata di Porta a Porta andata in onda la sera del 28 gennaio, Debora Serracchiani, già vicepresidente del PD, ha dichiarato: “parliamo di rastrellamenti nelle chiese, negli ospedali e sui luoghi di lavori. E deportazioni. Già usare due termini come rastrellamenti e deportazioni indica come sia inaccettabile per la dignità delle persone“.
In realtà, tali termini li sta usando solo la Serracchiani. “Deportation”, secondo i principali dizionari del mondo, si traduce soprattutto come “espulsione” e nelle frasi citate come esempio del termine si fa spesso riferimento proprio all’espulsione di migranti irregolari. Vengono citati, inoltre, sinonimi quali “bandire”, “estradare”, “esiliare”, “espatriare”.
Solo nel caso in cui si faccia riferimento a particolari casi storici, come la deportazione degli ebrei, il termine diventa effettivamente “deportazione”. In questo caso, gli USA hanno individuato tali individui irregolari e li hanno messi su una aereo verso il loro Paese di provenienza, nel quale hanno fatto ritorno da cittadini liberi. Una differenza non da poco rispetto alla fine di milioni di persone nei campi di concentramento. Insomma, il solito vizietto della Sinistra di giocarsi la carta della paura del ritorno del nazi-fascismo.
La Serracchiani aggiunge: “un migrante irregolare non è di per sè un delinquente“. In realtà, in quanto migrante irregolare, è entrato irregolarmente nello Stato, condizione che ne giustifica l’espulsione.
Il confronto con i governi Obama e Biden: Trump ha espulso meno migranti
La questione immigrazione è un problema serio negli Stati Uniti. Si tratta per lo più di migranti economici, arrivati negli USA da Paesi più poveri (come il Messico) alla ricerca di una vita migliore. Molti di essi però non riescono a integrarsi e finiscono per restare ai margini della società alimentando povertà e delinquenza in quartieri che diventano veri e propri ghetti.
Per porre un freno a tale piaga sociale, il Premio Nobel Obama ha rimpatriato 2.9 milioni di immigrati irregolari. Bush 10.5 milioni in due mandati. Biden ha effettuato 1.5 milioni di rimpatri, gli stessi del primo mandato di Donald Trump che, a conti fatti, risulta essere quello che ha espulso meno immigrati irregolari rispetto ai suoi più illustri predecessori nel passato recente.